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I sopravvissuti: intervista ai Libertines di Pete Doherty all’Home Festival

C’è stato un tempo, circa una decina di anni fa, in cui chiunque scommetteva sul fatto che Pete Doherty non sarebbe riuscito a sopravvivere così a lungo. Ora, lui al 2017 c’è arrivato, come non è dato sapere. Spesso viene da pensare che l’unica cosa a tenerlo in vita sia proprio la musica, anzi, la musica e Carl Barât. La reunion dei Libertines risale all’anno scorso, quando, accantonati tutti i rispettivi progetti paralleli e dopo aver mandato Doherty di nuovo in rehab, i quattro componenti hanno deciso di sfornare un nuovo album “Anthems for Doomed Youth” e ricominciare a suonare live.

Foto di Elena Donatello

Ed è proprio la band al completo ad aspettarmi nel camerino, meno di un’ora prima del concerto. Spreco due righe per descrivere l’allegro quadretto: Pete con una maglietta di Italia ’90, Carl Barât che è Carl Barât e tanto basta, Gary Powell, il batterista, con una stupenda maglietta che recita “Support Live Music Hire Live Musicians” e John Hassall, il bassista più gentile e carino del mondo, che si preoccupa di richiamare all’ordine quando la situazione diventa troppo caotica.

Alla domanda “Qualche nome di artista italiano che conoscete o ammirate?” Pete risponde “Da Vinci”. “Ok, però qualcosa di più vicino al tuo settore Pete?”, Gary, che è chiaramente il più gigione, butta lì un puntuale “Ramazzotti” e poi Barât se ne esce con Benigni, che va bene, è un nostro vanto, ha lavorato con Jarmusch e tutto, però vorrei propinargli la Divina Commedia letta da Benigni ogni due mesi come capita sulla nostra TV generalista e poi vediamo.

Doherty poi inizia a parlare di un musicista italiano che se ne è andato in Argentina, lui sì che gli piace, non riesce a ricordarsi il nome e nessuno dei presenti capisce di chi stia parlando, ma sospetto sia Luca Prodan, che ha una delle storie più tormentate che siano mai capitate a un essere umano e comunque merita di essere conosciuto.

Provo a chiedere di raccontarmi le situazioni più strane ed entusiasmanti in cui hanno suonato e Carl si lancia in una descrizione apocalittica: “Ho questo ricordo di una scenografia di uno stage con un sacco di chitarre bellissime disposte tutte in fila su una specie di balconata, solo che a un certo punto del concerto hanno iniziato a cadere tutte facendo un casino tremendo. Quando hanno smesso, dopo un paio di secondi di silenzio assoluto, tutto il pubblico è esploso in un boato!”.

Foto di Giulia De Marchi

Powell aggiunge “Sicuramente mi ricorderò per sempre Hyde Park!” e qui Doherty a gamba tesa interviene “Sì, quella volta che un uomo nudo ha iniziato a scalare la torretta e tutta la security tentava di tirarlo giù. Volevo dirgli di lasciarlo stare e far salire altri tipi nudi a scalare torrette perché era fantastico!”.

Pete ringhia ai nostri registratori per un’ultima volta, ci saluta con un “Raus!”, poi serie di abbracci e foto e si rintana in un angolo a strimpellare una chitarra. Un’ora dopo, il live è una bomba anche se Pete non imbrocca una nota nemmeno per sbaglio. Ci prova, per i primi quattro pezzi. Sul palco c’è ancora la chimica di dieci anni fa tra Barât e Doherty? Sì. Anzi, meglio, c’è dell’affetto profondo che lega ancora i quattro Libertines, nonostante gli scazzi, il tempo che passa, la droga, i tempi che cambiano e speriamo sia quello a tenere insieme i pezzi di Doherty il più a lungo possibile.

L'autore: Elena Donatello

Elena si è laureata al Dams (di Padova) ma a malincuore perché Andrea Pazienza non ha mai ceduto a questa debolezza. Rimpiange i giorni da speaker e vorrebbe disintossicarsi da Twitter. Scrive soprattutto di musica e fa anche altri lavori che con la musica non c’entrano niente: quest'ultima è una brutta abitudine che vorrebbe perdere al più presto.

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