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Il futuro suono degli Stradivari: la Banca del Suono al Museo del Violino di Cremona

Se a gennaio di quest’anno un visitatore fosse entrato all’Auditorium Arvedi, la sala da concerti del Museo del Violino di Cremona, l’avrebbe trovata quasi abbandonata, le luci al minimo, il riscaldamento spento. Scendendo i gradini, al centro dell’auditorium in legno progettato da Yasuhisa Toyota, avrebbe notato uno spettacolo insolito: un violinista, impegnato a eseguire per la sala vuota una singola nota nel silenzio assoluto, controllato a vista da una guardia armata. Intorno, a lui una selva di microfoni in registrazione. In mano, a scintillare nella penombra, uno dei più pregiati Stradivari del mondo.


La sinfonia di questa storia inizia cinque anni fa a Piacenza, contiene un campionario di sette voci e cinquecentomila suoni e ha come soggetto la Banca del Suono, progetto realizzato tra gennaio e febbraio al Museo del Violino di Cremona per digitalizzare – per la prima volta al mondo – un quartetto d’archi storico della scuola liutaia cremonese.

La prima voce è quella di Mattia Bersani, ideatore del progetto e co-fondatore, insieme a Leonardo Tedeschi, della startup piacentina di produzione musicale Audiozone Studios: “Noi realizziamo musica per corti, video web e pubblicità. Nel 2014, ci capitò di voler inserire in una traccia alcuni violini, ma quelli disponibili erano tutti moderni. Ci venne l’idea matta di realizzare un software che riproducesse fedelmente il violino Stradivari, registrandone uno in tutte le scale, le articolazioni e le dinamiche. Un database per rendere questi suoni accessibili a tutti”.


Attraverso il Maestro Wim Janssen, i due propongono il progetto ai dirigenti del Museo del Violino di Cremona: con loro grande sorpresa, la reazione è positiva – il gesto d’attacco di una partitura che, grazie alla fiducia del museo, finirà per includere un intero quartetto settecentesco: “La base dell’orchestra sinfonica ad archi: il violino Stradivari Vesuvio, un Guarneri del Gesù, un violoncello Stradivari e una bellissima viola Amati del 1615”. A raccontarlo è Paolo Bodini, Presidente di “Friends of Stradivari”, il network dei possessori di Stradivari nel mondo che, attraverso prestiti a lungo termine, si occupa di far tornare a Cremona gli strumenti delle sue scuole liutaie per valorizzarli, esponendoli al pubblico e rendendoli oggetto di studio per i liutai: “Oltre che alla conservazione, noi siamo interessati al suono in sé. Abbiamo ritenuto positivo promuoverci attraverso le registrazioni di questi preziosi strumenti, realizzate da Audiozone insieme all’azienda tedesca Native Instruments e che saranno accessibili attraverso un programma online a pagamento. È chiaro che la resa è condizionata dal tocco del musicista, dall’umidità dell’ambiente, dall’archetto: quello che otterremo sarà un suono, registrato però con le migliori attrezzature e digitalizzato con tecnologie molto sofisticate. In qualche modo, lo abbiamo comunque democratizzato, mettendolo a disposizione di chi lo apprezza”.


È qui che, nella sinfonia di questa narrazione, fanno ingresso i Maestri voluti dal Museo per le registrazioni dei quattro strumenti – che hanno richiesto, oltre a decine di firme per l’uscita degli strumenti dalle teche e alcuni distanziatori per evitare il contatto con le antiche vernici, una guardia armata sempre entro i cinque metri dallo strumento.

“Probabilmente, mentre la direttrice Virginia Villa mi illustrava il progetto è stata più precisa di quanto io abbia inteso – ricorda il violoncellista Andrea Nocerino – ma io ho colto solo Stradivari, registrare, tu e lui. Poi non ho sentito più niente”. Appoggiando l’arco al violoncello per la prima volta, nell’auditorium del tutto spento per evitare che i microfoni possano captare qualche ronzio elettrico, avverte invece un’emozione molto diversa:“Quando hai un riscontro dallo strumento, è come se diventasse il tuo interlocutore. Non è più un monologo, è come essere in due. E lui magari ha anche idee diverse dalle tue, sia sonore che timbriche. Siamo stati costretti, ma è una bellissima costrizione, a interloquire con quattro pezzi di storia, per ottenere un suono in purezza, un distillato”.

Nel caso del pezzo di storia a lui assegnato, le cronache riferiscono che centosettantacinque anni prima, in una sala da concerto di Lipsia, ad imbracciare quello stesso violoncello è Lisa Cristiani, accompagnata al piano da Mendelssohn: diciassettenne parigina di straordinario talento, tra le pochissime musiciste donne del tempo, a soli ventisei anni la violoncellista scompare in Siberia, il suo nome tra quello delle vittime del colera. Il suo violoncello resta a lungo in Francia, poi in Germania, infine alla W. E. Hill and Sons di Londra, fino ad essere acquistato da Mr. Lewis Bruce e infine da Paolo Salvelli, Presidente del Centro di Musicologia “Walter Stauffer”, che lo riporta nella città che per prima ne ha udito il suono.

Nelle parole del violista Marcello Schiavi, la prima immagine della viola Amati, considerata la più antica viola contralto conosciuta costruita a Cremona, è quella di “un gioiello, molto luccicante. Quando la vidi dall’alto, mi sembrò un diamante. Avevo quasi timore di sfiorarla, sembra che oggetti con questa storia prendano vita. Per rompere un po’ il ghiaccio, prima di iniziare le registrazioni suonai due preludi della I e della II Suite di Bach”. Il fratello Gabriele, musicista alla Scala che ha invece suonato il Guarneri del Gesù, paragona l’impatto con il violino – presente al museo nell’ambito dei prestiti a Friends of Stradivari e per oltre trent’anni suonata dalla prima viola della BBC Symphony Orchestra, Henry Danks – al possedere per un attimo un dipinto di Van Gogh.

Parallelamente agli oltre cinquecentomila file ottenuti nelle cinque settimane di lavoro, nel campionario dei tecnici del suono è raccolta anche un’altra categoria di frammenti sonori: “Una serie di disturbi a tratti incredibile – ricorda Mattia – Ci dicevano che sembravamo cani prima dei terremoti, perché dalla cabina di regia avvertivamo le frequenze dei motori delle auto o l’arrivo di un elicottero anche molto prima che si avvicinassero. Una volta, abbiamo captato i baci di una coppia che si era appartata vicino al museo. In alcuni casi, abbiamo dovuto chiedere al musicista di cambiarsi la camicia, perché dalla cabina di regia riuscivamo a sentirne il fruscio sotto la nota”.


Nell’ipotetico spartito del progetto, a dita in movimento sul manico, gorgoglii di fame dopo ore di registrazione e un variegato vociare umano fa da contrappunto la pausa sonora chiesta alla città di Cremona: “Abbiamo dovuto chiudere al traffico delle vie intorno al museo, modificando la viabilità, e il Sindaco ha chiesto ai cittadini di limitare in ogni modo i rumori troppo forti. Con così tanti microfoni è inevitabile, ma la città ha reagito con grande disponibilità. Ogni mattina un anziano si era preso il compito di spiegare ai passanti perché non potevano passare di lì. Una volta, durante una pausa ad almeno dieci chilometri dal museo, ci è capitato di incrociare una mamma che stava sgridando il figlio, rimproverandolo perché il suo pianto avrebbe impedito di registrare il violino Stradivari”.


Nel 2003, il Comune di Cremona riceve un’importante comunicazione: nel lascito testamentario del compositore e violinista britannico Remo Lauricella – primo violino della London Philarmonic, iniziato alla musica dal padre sarto – sono presenti anche il Sindaco di Cremona e i Consiglieri Comunali, che figurano come eredi del suo Stradivari Vesuvio. Il 12 agosto 2005, il quotidiano La Provincia di Cremona titola “Vesuvio, il sogno continua”, riportando voce per voce tutte le donazioni raccolte fino a quel momento da privati, fondazioni e enti pubblici, per coprire la pesante tassa di successione che ancora bloccava lo strumento nel caveau dello studio legale Berry & Berry, a Londra. La sottoscrizione, lanciata da uno studente anonimo con un contributo di cinque euro, si conclude positivamente, riportando il Vesuvio nella sua città natale. Ad averlo suonato per il progetto Banca del Suono è il Maestro Antonio De Lorenzi, che, qualche settimana dopo al conclusione delle registrazioni, definisce l’esperienza “un viaggio interstellare”.

Violinista e direttore d’orchestra, figlio di un neurologo appassionato di musica e collaboratore di lunga data del museo, nel corso delle sessioni suonerà con il berretto in testa, per evitare di potersi ammalare a causa del freddo nella sala: “Il violino dà una rappresentazione di noi stessi, in esso è presente anche il nostro corpo che vibra. Doverlo suonare con un carattere definitivo, eseguendo singole note e scandagliandolo in ogni sua declinazione, richiede un grande autocontrollo interiore. È stato come fare uno screening dello strumento, dei suoi infiniti colori. In un’epoca dove non si può prescindere da un’operazione del genere, perché è pulita. Non si tratta di provare a sostituirsi alla personalità del musicista, ma di provare a campionare e rendere disponibili a più persone strumenti costanti in qualità e bellezza”.

Come racconta anche la direttrice del museo Virginia Villa: “È chiaro che l’invito è sempre quello di venire poi ad ascoltare gli strumenti al Museo, durante le audizioni al pubblico che teniamo tre volte a settimana. E rimarrà questo anche e soprattutto dopo il lancio del software del prossimo anno. Un progetto come Banca del Suono racconta di una città capace di essere aperta alle cose, anche quando non le conosce”. E di come il luogo che cinquecento anni fa ha ascoltato nascere gli strumenti della grande liuteria cremonese immagini il suono del loro futuro.

L'autore: Giulia Callino

Scrive di musica per Rockit.it e realizza reportage narrativi per CTRL Magazine. Ama la fotografia e si occupa di live photography. Le interessa indagare le storie degli altri, perché nel raccontarle scopre anche la sua.

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