A Trieste si torna ad imparare a camminare lenti. Ogni passo, misurato, pensato, osservato. Nei mesi invernali, con la nebbia che avvolge i piedi e la bora che pizzica il naso, perdersi camminando nella città ed innamorarsene. Anch’io, in quella prima passeggiata a Trieste me ne sono innamorata. Un colpo di fulmine, una sorpresa, un incontro inaspettato che profuma di nebbia salata, di libri, inchiostro, sigarette, con l’aroma di caffè che arriva dal porto, il principale in Italia per il commercio di arabica.
Il mio primo ricordo a Trieste ha a che fare con un caffè. Non poteva non essere così. Ero piccola, non ricordo quanto, ricordo solo una grande sgridata di mia madre per averle rovesciato su un bellissimo vestito rosso un’intera tazza di caffè, caldo.
Voci, parole e risate riecheggiano in sloveno, italiano e tedesco nelle strade e passo dopo passo ti sembra di camminare insieme agli artisti, agli scrittori, ai commercianti della Mitteleuropa che affollavano i locali triestini: 98 se ne contavano nel 1911.
Caffè ma anche librerie dietro ogni angolo, impossibile resistere al fascino di una passeggiata seguendo l’itinerario dei caffè letterari, ormai diventato un must. Perdersi nelle strade del centro di questa strana e bellissima città, dal fascino malinconico e fuori dal tempo.
Lascio il mare alle spalle e inizio la mia passeggiata da Piazza dell’Unità. Un “nero” (che a Trieste significa un “espresso”), chiedo al barista davanti al bancone di legno antico, specchiandomi nella magnificenza del Caffè degli Specchi, che dal 1839 ha ospitato tra i suoi tavolini di vimini milioni di parole, caffè e aperitivi. Un salotto cittadino, fatto di stile ed eleganza che guarda il mare. Prendo il mio nero seduta ad uno di quei tavolini, lo servono con un bicchierino di cioccolata calda.
Proseguo la passeggiata lungo la riva di fronte al molo Audace, entro in un altro caffè. “Un capo, per favore” (che qui sta a indicare il caffè macchiato). Sono nel caffè storico Tommaseo, di fronte al molo, vista che toglie il fiato.
Una volta dentro ti sembra di essere nella Vienna di metà Ottocento, Umberto Saba gli dedicò perfino una poesia: “Al caffè dei negozianti”, luogo di incontro di intellettuali ed artisti ma anche cantanti ed attori del vicino Teatro Verdi. Fu il primo ad avere il gelato in città. Ne prendo uno anch’io al pistacchio, il preferito di Saba.
Proseguo la passeggiata nel cuore del borgo, passo di fronte al caffè Stella Polare. Specchi e stucchi e una meravigliosa sala da thè. Uno dei caffè di James Joyce, nei suoi anni triestini, insegnava lì vicino. Mi sembra di vederlo seduto alla pasticceria Pirona, qualche strada più in là, mangiare uno dei suoi famosi bignè. James Joyce che di Trieste parlò come della sua anima, in una lettera che scrisse a sua moglie Nora.
“Buongiorno vorrei un capo in b” (ossia un macchiato nel bicchierino di vetro) chiedo, seduta ad uno dei tavolini in mogano dello storico caffè San Marco, dove andavano tutti. Oggi è diventato anche una meravigliosa libreria con il fascino antico dei suoi interni. Sto per leggere le prime pagine del libro appena comprato, ma la tazzina del caffè mi scappa di mano, rovesciandosi sul libro e sul mio maglioncino rosso. Era lo stesso bar, tanti anni dopo.