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La Gastronomia Letteraria: dove le ricette sono un racconto

C’è una cosa che non vi raccontano mai sulle storie: per trovarle, bisogna entrare nei luoghi frequentati dalle buone storie. Bisogna farlo con la discrezione di quando si entra in un bar mentre si è in attesa di qualcuno che arriverà dopo. È l’attesa quella che spesso fa la differenza: lontano dal bancone, in un angolo, ordinando poco e pretendendo ancora meno, consumando e consumandosi il giusto per non venire allontanati. Rimane la domanda: come si riconosce un luogo dove le buone storie accadono? Personalmente non l’ho mai capito, e questa, forse, è la mia fortuna: perché alla fin fine, son sempre portato a pensare che un perché valga molto di meno di un perché no?.

Foto di Simone Tempia

Uno dei luoghi in cui ho passato del tempo appostato in cerca di una buona storia si chiama Gastronomia Verdier ed è in via Palazzolo a Bergamo. È un asporto con somministrazione il che significa che tu entri, scegli quello che vuoi mangiare tra ciò che offre la cucina in quel giorno, e te lo porti a casa o lo consumi lì. C’è una sala di fianco al bancone della gastronomia, l’hanno aperta da poco, ha sedie bianche e tavoli verdi. Ed è semplicemente giusta. E onesta.

Foto di Simone Tempia

La Gastronomia Verdier è gestita da due persone dagli occhi chiarissimi e un’età gaudiosamente indefinibile: lui si chiama Dominique, e si occupa della cucina, lei Ornella, e si occupa della “sala” e del rapporto diretto con i clienti. Nella mia mente da Verdier fanno cucina italo-francese: non è del tutto vero. Perché di totalmente e assolutamente francese qui ci sono solo due cose: il vino e l’accento di Dominique. Che è un accento che sembra scolpito nella pietra, con le “r” arrotolate intorno ai pensieri che sembra dover cercare ogni tanto, quando alza gli occhi in alto e sembra stare sfogliando un vocabolario italiano-francese, francese-italiano che è nascosto da qualche parte, lì, sul soffitto.

Foto di Simone Tempia

Per un po’ ho pensato fosse una posa da attore consumato. In realtà è semplicemente così anche quando parla francese con qualcuno. È semplicemente giusto. E onesto. Aspettando che entrasse dalle tendine colorate a perline una buona storia, da Verdier ho mangiato carne di bufalo, cannelloni di verdura, tartare di salmone, una grande quantità di verdura cotta al forno, pasta ai gamberoni, pasta alla bottarga di pesce, dei ravioli molto buoni e con molti spinaci. Mai della polenta. Né casoncelli.

Foto di Simone Tempia

Poi ho mangiato un numero interessante di entrecôte di manzo, dei galletti al forno con patate, del pesce alla griglia, alcuni tipi di quiche, delle lasagne il tutto accompagnandolo con vino rosé di Provenza e di Borgogna, del bordeaux, del petit chablis e forse anche del pinot noir, ma su quello, davvero, non potrei mettere la mano sul fuoco. E poi, sì, ovviamente i dolci.

Foto di Simone Tempia

Mi sono dimenticato di dire una cosa: oltre all’accento di Dominque e ai vini c’è anche un’altra cosa francese. Ed è la creme brulèe che qui è unica sia per come è fatta, sia per come è pronunciata. Perché, ed è forse questa l’unica cosa che ho capito non parlando con Dominique e Ornella, giacché non ho mai voluto chiedere molto altro rispetto a ciò che la loro cucina mi raccontava, qui i dolci sono di casa un po’ come lo è il calvados, che da Verdier si pronuncia si lascia chiamare calvà, troncando il nome come si fa con le persone con cui hai tanta confidenza quanta basta a dargli un soprannome.

Foto di Simone Tempia

Non è un caso che la storia che stavo cercando finisse per c’entrare in qualche maniera con i dolci. È arrivata qui, da Verdier, come un racconto. Uno di quelli stampati solo fronte, in bianco e nero, su fogli A4, pinzati con una spirale di quelle di plastica nera e una copertina in acetato trasparente destinata a diventare opaca per le ditate e la polvere che si deposita nei cassetti in cui quei racconti finiscono per giacere. Un racconto che è stato poi ritrovato, a distanza di anni dalla sua creazione, quasi per caso, proprio in un cassetto. Nello specifico in quello del salotto della casa di Dominique e Ornella. Che, per un certo tempo, era stata anche la casa dell’autrice del racconto stesso che, incidentalmente, era anche la loro figlia.

Foto di Simone Tempia

Ma questo è un dettaglio su cui sento di poter sorvolare. Quel racconto aveva dentro Parigi, aveva dentro l’ingenuità entusiasta di una ventenne che vuole diventare scrittrice, ma aveva dentro anche qualcos’altro. E quel qualcosa erano i dolci. Dentro a quelle ventitrè pagine si potevano incontrare macarons, tartelettes al cioccolato e al limone, millefoglie al tè match,  moelleux au chocolat, galette farcite, meringhe rosa e bianche, ganache al rhum, tartufi allo zenzero, pain d’epices e biscotti, tanti biscotti. Quei dolci, proprio quelli, sono usciti da quel racconto e, per un guizzo di creatività di Dominique e Ornella, si sono trasformati in un evento.

Foto di Simone Tempia

Per un’intera giornata la Gastronomia Verdier ha lavorato intorno alle parole di quel racconto. Le ha fatte tracimare dalla pagina al bancone e poi al forno di Dominique. Le ha farcite di crema e di cioccolato, le ha decorate con il sac à poche, le ha anche buttate via perché non erano venute bene e poi le ha rifatte, le ha confezionate in bustine di plastica trasparente con nastrini rosa e bianchi.

Foto di Simone Tempia

In un sabato di aprile, quindi, alla Gastronomia Verdier, ho assaggiato: macarons, tartelettes al cioccolato e al limone, millefoglie al tè matcha,  moelleux au chocolat, galette farcite, meringhe rosa e bianche, ganache al rhum, tartufi allo zenzero, pain d’epices e biscotti, tanti biscotti. E, per una volta niente, creme brulèe. Ed è questa, la storia di una gastronomia che trasforma i racconti in dolci, la storia che andavo cercando da tempo. E che ho trovato in Via Palazzolo. A Bergamo. In una giornata d’Aprile.

L'autore: Simone Tempia

Simone Tempia, scrittore, abita a Bergamo in compagnia di un maggiordomo immaginario. Vita con Lloyd è un libro edito da Rizzoli Lizard e una pagina fb visitata da più di ottantamila curiosi. Di sé, e del suo maggiordomo, dice: "Un maggiordomo immaginario va comunque mantenuto. Tale pagamento è composto solitamente da storie. Storie che si raccolgono, che si osservano, che si trovano camminando per strada o entrando nei luoghi. È per questo che sono diventato un discreto ricercatore di storie in giro per la città”.

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