Le quattro di pomeriggio, la serranda a metà. Al civico 108 di corso Regina Margherita, a pochi passi dal mercato di Porta Palazzo, Anna monta il dehors mentre Luca, folta chioma invidiata dai clienti, sposta scatoloni nello spazio riservato alle bici dietro al bancone. Bici & Birra, Ciclofficina Birraia, recita l’insegna. Mentre finiscono di mettere in sesto il locale mi offrono un’ottima blanche alla spina, prodotto italiano, artigianale, testato con cura prima della mescita. Come? Bevendo, mi dice Luca, spiegandomi che lui tre anni fa, faceva tutt’altro. “Ero tecnico elettronico, poi dall’oggi al domani, senza pensarci troppo, ho deciso di unire le mie passioni, le bici e la birra, appunto”. E così che nasce questo locale piccolo e accogliente, nel cuore di Torino.

Foto di Martina Merletti
Sul frigo, sopra le centinaia di etichette al fresco, pronte per l’asporto, campeggia una sfavillante bici da corsa, blu e arancione. “Sono telai degli anni Ottanta, a partire dai quali assemblo nuove bici, rispettandone l’anima vintage. A questa ho costruito un porta-birra”, mi mostra una foto sul telefono, una cassetta di legno sottile, montata per lungo, le birre in fila da una parte e dall’altra del tubo.

Foto di Martina Merletti
Mentre mi parla delle sue bici, una passione innata che lo anima fin da bambino, si riempie di calore. “Se ti si buca una ruota alle dieci di sera, me la porti qui e io te l’aggiusto, perché la ciclofficina è parte fondante della nostra realtà”.

Foto di Martina Merletti
Sarà anche che lui e Anna si sono conosciuti proprio grazie a quello che Luca chiama il giro bici. “Siccome lei non guida e io giravo già esclusivamente in bici fu l’occasione per avvicinarci e sai com’è”, sorride, “da cosa nasce cosa”.
Così, oggi, seduti intorno a un tavolo, chiacchieriamo circondati da etichette dai colori sgargianti.

Foto di Martina Merletti
“Abbiamo sempre nove birre alla spina, diversi stili e una particolare, che può essere una Sour”. Acida, mi spiega, una birra che fa botte, magari tre anni con blend diversi e alla fine, come in questo caso, il birraio aggiunge anche delle uve di nebbiolo. Luca me ne spilla un bicchierino da degustazione. Un sapore mai sentito prima mi riempie la bocca, un ibrido tra vino e birra, una piacevole sorpresa. “Sono birre da taglieri, da formaggi”, dice Anna, trovandomi perfettamente d’accordo. “Sono birre che richiedono una lavorazione molto particolare”, aggiunge Luca, “una bottaia separata dove far invecchiare la birra e tenere sotto controllo i lieviti.” “

Foto di Martina Merletti
Uno dei nostri birrai lo chiama il metodo cadrega, ovvero siediti sulla cadrega, che in piemontese significa sedia, e aspetta.” Anna e Luca si alternano a parlare con trasporto. “Questi birrai sono dei personaggi incredibili”, dice lei mentre si prepara a infornare la prima pizza della giornata. Anche qui tutti prodotti freschi, a chilometro zero. Pizza e tapas per accompagnare le birre.

Foto di Martina Merletti
“La storia dell’artigiano, del territorio, finisce nella bottiglia, e rende ognuna di queste birre uniche. Il tempo della rotazione delle etichette alla spina è quello di far conoscere il prodotto al cliente, che lo possa gustare, che possa riconoscere questa storia. Poi se lo fanno impazzire le PILS sa che tra qualche mese ne potrà assaggiare un’altra, provare un’altra storia senza stravolgere il gusto. Alcune birre non le abbiamo sempre, però. L’intenditore, secondo me, sa anche aspettare, perché qui trattiamo un prodotto che può essere stagionale”.

Foto di Martina Merletti
Se per Natale volete qualcosa di diverso dalla solita birra natalizia, provate a chiedere a Luca del metodo champenoise. Oppure, mentre vi fate spillare una delle nove birre in mescita, domandate chi è il birraio, dove si trova, come lavora il suo prodotto. L’attenzione che Luca e Anna hanno per il cliente, senza mai dimenticare la qualità, viene immediatamente confermata da un habitué del quartiere che prima di andarsene mi dice con sincero entusiasmo: primo posto in gentilezza.

Foto di Martina Merletti
Durante la chiacchierata sento i diversi sapori, immagino i produttori, mi sembra di cogliere l’odore dei luppoli e mi viene voglia di provare più birre, ascoltare più storie. Nel dubbio chiedo un asporto in vetro dell’APA che hanno in mescita. Mi mostrano la vetrinetta dove tengono tutti i diversi malti, con la loro gamma cromatica dalla quale dipende, conseguentemente, il colore della birra.

Foto di Martina Merletti
Una signora sul marciapiede si affaccia nel locale: mi è caduta la catena, dice. Luca, pronto, va a prendere la bici e la porta dietro al bancone, lasciandomi il tempo di ammirare l’etichetta con sopra disegnato Chewbacca, poi mi parla di acqua. “L’acqua è un componente fondamentale della birra”. Sul serio? chiedo io buttando l’occhio sul bancone di attrezzi in bell’ordine. “Certo, ci sono birrifici che usano l’acqua di montagna, più adatta per fare lager, ad esempio”. Mi guardo attorno e prendo appunti. Birrificio Italiano, Aleghe, Beba, Montegioco, Retorto e moltissimi altri. Il produttore della Nebiulin-a che ho assaggiato alla spina, LoverBeer, è qui a due passi, sulle colline di Torino.

Foto di Martina Merletti
Intorno alle sei, dopo aver scattato un loro ritratto dietro le spillatrici, brindiamo con un altro boccale. “Con la birra si possono fare un sacco di cose senza fermarsi alla bionda e alla rossa”, dice Luca.