Mentre osservo dall’esterno i quadri esposti alla Galleria Il Redentore, attraverso il riflesso sulla vetrina un vaporetto sembra entrare nella stanza. Ci ondeggia dentro per tutta la lunghezza del locale, fluttuando verso un piccolo disegno astratto. Quando pare stia per travolgere un dipinto a tempera che mostra un uomo a passeggio, esce dalla superficie del vetro e scompare, lasciandosi dietro il movimento leggermente agitato dell’acqua. Siamo in Fondamenta San Giacomo alla Giudecca – isola a sud di Venezia costituita da otto isole minori collegate fra loro, formalmente parte del sestiere di Dorsoduro, ma separata dal centro storico attraverso il Canale omonimo: l’invito alla scoperta di una Venezia anch’essa minore diventa così un percorso a piedi attraverso un luogo ancora laterale.
Ad un’estremità dell’isola, la prima fermata del vaporetto porta a Sacca Fisola, quartiere popolare scandito dalle geometrie di decine di palazzoni anni Sessanta: è qui che, in Calle del Teatro, da dieci anni viene organizzato il Festival delle Arti Giudecca Sacca Fisola, ideato dal Circolo Arci Luigi Nono. A raccontarmelo è Marco, uno degli organizzatori: “Il centro del festival è il coinvolgimento del territorio: eventi gratuiti, dal basso, con esposizioni nelle attività e botteghe di tutta l’isola. La Giudecca è un quartiere ultrapopolare, ma anche noi iniziamo ad avvertire le conseguenze del turismo da toccata e fuga che vive Venezia. Letture, concerti e proiezioni di film sono soprattutto un invito all’espressione e alla creazione di una rete di chi desidera continuare a vivere qui”.
Fra le realtà coinvolte l’Osteria La Palanca – riferimento sia per un aperitivo con selezione di cicchetti che per la proposta di pesce del ristorantino – , la Pasticceria Giudechina e la Pizzeria La Foca, ma anche le gallerie d’arte del Giudecca Art District, lo Spazio Bocciofila e l’Associazione Canottieri. Il 14 settembre 2019, nell’ambito del Festival, gli anziani ospiti del Centro Servizi IRE sono stati accompagnati nel giardino di Villa Hériot – sede dell’Istituto veneziano per la storia della Resistenza – e hanno trascorso il pomeriggio cantando brani dei propri tempi insieme alla musicista Sara Mancuso. Forse in amore le rose non si usano più – osservano le loro voci in un video che li riprende durante l’esecuzione di un pezzo di Ranieri, seduti all’ombra di alcuni alberi, la laguna sud sullo sfondo – ma questi fiori sapranno parlarti di me.
Dopo un’importante ristrutturazione comunale, del passato dell’ex Convento dei Santi Cosma e Damiano continua invece a parlare il chiostro al centro dell’edificio, che oggi ospita però alcune strutture di produzione e ricerca teatrale, un atelier artistico e i laboratori – tutti visitabili – di dodici piccole imprese artigiane. Tra queste, la bottega Carta Venezia di Fernando Masone, che realizza oggetti e arredi in carta cotone.
“Iniziai a frequentare Venezia nel ’74, studiai alla Scuola di Grafica. Prima abitavo a Roma, ma sono nato a Sannio, vicino a Benevento. Abito a Venezia da trent’anni e in Giudecca da quindici, proprio qui, sopra al laboratorio. Sono arrivato alla carta dalla ceramica: amando i bassorilievi, cercai una tecnica per poter ottenere lo stesso effetto stratificato, le stesse possibilità di lavoro oltre la superficie”.
Nel 1964, il compositore veneziano Luigi Nono, accompagnato dallo scrittore Giuliano Scabia, si reca nello stabilimento ligure di Italsider a Cornigliano, per registrare le voci degli operai e i rumori della lavorazione industriale che utilizzerà nella composizione per soprano e nastro magnetico La fabbrica illuminata: “Fu la prima opera di Nono che ascoltai. Mi colpì la sua forte e dichiarata vena politica” dice Carlo, studente di Musicologia e organizzatore di eventi musicali. “Per il tirocinio universitario, pensai subito alla Fondazione Archivio Nono, gestito dalla vedova di Nono Nuria Schoenberg e dalla figlia Serena Nono. Ho curato la documentazione video delle tre edizioni del festival itinerante dedicato al compositore. Soprattutto, attraverso la sua musica ho scoperto la Giudecca: un luogo che ammiro per la sua lotta nel mantenere la propria identità. Che si traduce in un ideale di resistenza”.
“Noi siamo la prima e unica libreria aperta qui” dice Flavio, che lavora nella sede giudecchina della libreria indipendente MarcoPolo, presente anche in centro storico a Campo Santa Margherita “Prima di noi, questo luogo ospitava una galleria d’arte: abbiamo cercato di dare una continuità a quell’anima esponendo anche testi non contemporanei, come i cataloghi di Bruno Munari editi da Corraini, le copertine storiche di Iperborea, testi della letteratura americana. Vorremmo essere una casetta dove leggere. E dove diffondere l’idea che la lettura è un’avventura. La Giudecca è un’isola per certi aspetti marginale: sappiamo che servono tempo e una visione a lungo termine per comunicare il valore di una certa biodiversità letteraria. Ma crediamo che farlo voglia dire aprire delle possibilità”.
Fra i testi consigliati per la scoperta di Venezia, “La Venezia che vorrei: parole e pratiche per una città felice” e “Lettere da Nordest”, entrambi a cura di Cristiano Dorigo ed Elisabetta Tiveron. Apro il secondo, la prima frase che leggo dice: C’è un pezzo di noi in questa terra di vento e crolli, le assomigliamo.
Lungo Calle de le Erbe incontro Bruno: 86 anni, sta aspettando che qualcosa abbocchi alla sua lenza per il risotto di pesce che vuole preparargli la figlia: “Ho sempre pescato, da giovane vendevo anche pesce e cozze ai ristoranti. Ma lavoravo come sommozzatore. Lo imparai da mio zio, che era cieco: mentre cercavo oggetti in mare, sono stato gli occhi che non aveva”. Davanti alla Chiesa del Santissimo Redentore, progettata da Palladio e che include tra le altre opere di Tintoretto, Veronese e Palma il Giovane, sta invece passeggiando Francesca, 83 anni.
Mentre parla indica l’acqua, mimando con le mani il ponte votivo costruito il sabato prima della terza domenica di luglio, che collega la Giudecca alla riva delle Zattere in occasione dei festeggiamenti del Redentore: “Sono nata nel 1936, il giorno della Festa del Redentore, quindi posso dire che non ne ho perso uno. È una festa grandiosa, solo chi c’è stato può capire. Le fondamenta si riempiono di tavolini, si sta insieme in attesa dei fuochi d’artificio. Ma non ne ricordo uno più bello o più importante: ogni anno, lo sento sempre come la festa bella della mia isola”.
Verso l’estremità opposta della Giudecca – a pochi passi dall’apprezzato Bar Da Monica, noto soprattutto per gli Spritz all’Aperol con vista – spicca la facciata neogotica della Casa dei Tre Oci, speculare a Palazzo Ducale e al campanile di Piazza San Marco oltre il canale: disegnata da Mario De Maria ed edificata nel 1913, la allora casa-studio dell’artista è oggi sede di mostre fotografiche. Al capo opposto dell’isola, le risponde la struttura massiccia dell’Hilton – nella definizione di Google Maps “hotel di lusso che domina la città”, ma la dicitura non specifica la connotazione del verbo – realizzato all’interno dell’edificio industriale neogotico Molino Stucky.
Nel primo mattino, o nelle giornate più umide e fredde, dall’acqua si leva una coltre di nebbia che inghiotte la lingua di pietra oltre il Canale. Per qualche ora, sospese anche le corse dei battelli, divide la Giudecca dalla prima idea di meta raggiungibile. La fa isola nell’isola.