“Io questa la ballo” dice una ragazza in un vestito nero a fiori. L’amica le risponde cominciando a ondeggiare a occhi chiusi sulla voglia di infinito dei Selton. Insieme si accodano alle danze tropicali dei primi spettatori già davanti al main stage dell’Home Festival. Una coppia arriva troppo tardi, li incrocio un paio d’ore dopo mentre si dirigono verso il live di Lemandorle: “Sono venuta per i Selton”. “Io per seguire lei”.
Il pubblico è un flusso di drappelli di amici, corone di fiori, blush dorati e cappellini al contrario che si sposta da un palco all’altro, riemergendo dal tendone da circo del SUN68 Stage alla cupola di plastica del New Era Stage, disperdendosi fra stand e bancarelle e indugiando all’ombra dei chioschi prima di riunirsi di fronte al Clipper Stage – il più grande, il più importante, quello su cui si esibiscono anche Incubus e Prodigy. E che porta sopra di sé le quattro lettere che dicono ciò che il festival vuole essere: una casa a cui arrivare e dove fare ritorno, amplificazione a volume crescente di una vibrazione nata a Treviso e affinata attraverso la frequentazione dei maggiori festival d’Europa.
“Capisci molto di un festival da come è organizzato il backstage – mi dice Joe degli Alt-J – Arrivi qui e trovi catering di ogni tipo, un barbiere e un vero letto. Ti senti just like home”. Nello studio mobile per le interviste agli artisti incontro Maria Vittoria e Federica, studentesse che insieme curano un blog specializzato in musica indie. Maria Vittoria mi spiega che parla così bene inglese perché ha trascorso nove mesi a Londra, frequentando un master e accedendo a uno stage alla Domino Records. I Canova sono un’eco dal SUN68 Stage, ricordano che Io non ho neanche un soldo per viaggiare / E andare a Londra o per l’estate / Non ho neanche un film da guardare dopo / E non ho neanche te.
Sara e Matteo abitano a un paio di chilometri da qui, vengono al festival da sempre e ci sono sempre venuti insieme. I loro nomi si mescolano in un vortice di volumi alti e coriandoli, saltimbanchi e trampolieri che sventolano bandiere. Nel più grande dei due bar targati cerco di farmi quantificare il numero di spritz già preparati oggi. I due baristi tentano un calcolo veloce, poi si arrendono: “Possiamo solo dirti che siamo aperti da poco e abbiamo già finito cinque bottiglie. Vuol dire tanti”. Ad un piccolo tattoo shop due sorelle aspettano in coda, stanno per tatuarsi insieme un palo stradale ricoperto di cartelli rivolti in tutte le direzioni: “Siamo di Treviso, ma da quest’anno lei lavora a Parma. Abbiamo scelto quell’immagine perché racconta del nostro rapporto”. Lift me to a higher place / Fill my soul with love embrace: sul Clipper Stage Nic Cester, accompagnato dalla sua Milano Elettrica.
A presidiare l’accesso all’area press, un signore di mezza età osserva tutti i passanti con uno sguardo malizioso. Non vuole essere fotografato, dichiara di essere un agente sotto copertura: “Non posso dirti come mi chiamo, quello sul cartellino non sono io. Lavoro per grossissimi, fino a ieri ero in Irlanda per il Papa. Prima del servizio effettivo, mi prendo un paio di giorni per studiare la situazione. Ma qui, tutto tranquillo”. Lo dice con un sorrisetto, mentre Bruno Belissimo sta tramortendo il New Era con un set di bassi grossi e strobo. Vicino a lui, Federica sta vivendo il suo primo Home e ha scelto di farlo lavorandoci: “Gli altri anni ero sempre sotto esami, ho studiato editoria e produzione musicale. Quando ero all’università, prendevo e partivo continuamente per andare a vedere i concerti che mi piacevano. Anche da sola. Mi sento già a casa qui, non solo perché parte dello staff. È qualcosa che ti senti dentro anche mentre sei di corsa”. A salutarla ci sono Michela, che lavora in uno studio dentistico, e Maria, una sua amica che lavora come traduttrice di copy di cartoni animati: “Tutte produzioni inglesi, a parte qualcosa di giapponese. Mi urta sempre quando uno studente di lingue si dichiara traduttore. Il traduttore sa già in partenza che portare un significato da una lingua all’altra è impossibile”. Every word is like thunder, dal Clipper Stage i White Lies accompagnano la sua voce.
Quando scende la sera, il lampeggiare di una rampa di lancio ricoperta di lucine segna a vista la posizione di una grande palla con elastico capace di essere sparata a 45 metri di altezza. Emerge dal buio come un invito intrigante, mentre il tendone vicino si è fatto quasi inaccessibile per la folla accorsa al live degli Wombats e alla loro promessa di costruire un acquascivolo, As soon as I get home.
Nicola, autore per una webzine, mi racconta: “Faccio l’impiegato. Fisso sempre le ferie un anno prima, in base ai festival a cui voglio andare”. Ostenta una gran calma, che tradisce riaprendo in continuazione un taccuino su cui ha annotato alcune domande per gli Alt-J in una grafia piccolissima, come se gli fossero arrivate da una versione di sé molto più sicura di quella che vedo in questo momento. Per assistere al live degli Alt-J salgo sulla terrazza allestita sfruttando l’impalcatura sopra al service, un salottino sopraelevato gremito di spettatori e fotografi. Mi rendo conto di non aver ancora imparato a stimare a colpo d’occhio una grande quantità di persone, che i led trasformano da un mosaico scintillante di teste e smartphone a una massa indistinguibile. Treasure, pleasure, leisure, les yeux, it’s all in your eyes.
Mentre mi sposto da un palco all’altro incrocio un ragazzo un po’ brillo, vedendomi con la reflex mi ferma incuriosito e attacca a parlare: “L’esperienza è un motivo per venire all’Home, ma per me il primo in assoluto è la musica. Non dimentichiamoci che hanno chiamato anche Roni Size. Suonava con i Reprazent, è un grande. Non dimentichiamocelo”. È un mezzo ordine e un mezzo monito, che giunge a un’ora troppo tarda e con troppa convinzione per opporgli resistenza.
Mi arriva un messaggio di Carlotta, che fa parte del team di fotografi ufficiali del festival e che mi darà un passaggio per tornare a casa: “Faccio le foto ai Coma Cose e ci sono”, domani mattina deve essere presto a lavoro. La cerco tra ragazze che dichiarano in coro che Se abitassi qui capiresti, sotto una mitragliata di parole e sample. Una di loro mi chiede una foto, sparisce nuovamente nella folla senza chiedermi dove la potrà ritrovare.
Raggiungiamo la macchina, Carlotta mi spiega che cosa significhi per lei scattare le foto a Home: “Ho iniziato l’anno scorso. Per anni ho fatto la stagione come fotografa a Jesolo e nelle date del festival ero sempre a lavoro. Poi ho deciso di cambiare vita, ora sono in finanziaria. Per carità, anche lì hai qualche soddisfazione”. Si zittisce, come se non ci fosse bisogno di completare la frase. Scopro che si è fatta scattare una foto con il cantante degli Wombats: “Mi sembrava di essere tornata nel 2008, ma per come sono legata a loro non potevo rinunciare”. Quando torniamo a casa, il mondo rimasto fuori è a letto già da un pezzo.