Da una delle vetrine del locale in cui mi trovo, in questo momento, non è possibile guardare fuori: a interrompere la vista verso il piazzale esterno, un’alta pila di cassette di legno colme di verdura che occupa un’intera parete, i nomi dei destinatari incollati su piccole etichette di carta. Quello della consegna di prodotti orticoli – stagionali, locali e solo da biologico certificato – è, insieme alla ristorazione, uno dei rami di attività dell’Osteria di Fuori Porta, locale vegetariano e vegano alle porte di Padova, nel quartiere Arcella.

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A raccontare le origini del locale è Marco, presidente della cooperativa I Dodici Mesi: “L’Osteria è nata nel 2011. La cooperativa i Dodici Mesi poco prima, dall’unione dell’Associazione Bio Rekk, attiva a Padova nel biologico e nella sostenibilità, e dei soci della gelateria Macondo, da cui provengo anche io. Ci piaceva l’idea di dare un senso ai nostri percorsi comuni, aprendo un ristorante appena al di fuori delle mura della città”.

Foto di Giulia Callino
Nella cucina proposta dall’Osteria, realizzata solo con prodotti da agricoltura biologica certificata, si incrociano le storie di diverse aziende, accomunate da una stessa visione di agricoltura:“Più che la fogliolina verde, ci interessa la storia dietro a quella fogliolina. Qui a Padova, per la frutta e la verdura ci riforniamo attraverso la cooperativa El Tamiso, una delle prime esperienze di biologico cooperativo in Italia. Compriamo pane e cracker da El Forno a Legna di Claudio Ceroni a Dolo, una realtà familiare che lavora con pasta madre da anni. Acquistiamo vini dai Colli Tortonesi in Piemonte, realizzati da una realtà fondata negli anni ’70 da ex hippie scappati da Torino alle Langhe. Quello che ci interessa sono le storie di comunità. Scoprirle, per selezionare quelle più meritevoli”.

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Vicino all’entrata, una lavagna illustra il menù del giorno del ristorantino, che oggi include vellutata di finocchi con crostini di pane alla curcuma, farfalle con asparagi e nocciole, riso basmati con lenticchie rosse, farinata di ceci e verdure e clafoutis con zucchine e caciocavallo: “Ma, per via della variabilità della materia prima, la proposta cambia quotidianamente. Più lavori con realtà piccole, più è difficile basarti sempre su quello che sai. Quelli che ti arrivano sono prodotti non standardizzati, imprevedibili, che anche a livello di cucina ti portano a metterti in discussione. Questo fa sì che il nostro menù cambi tutti i giorni. Tra i classici, io consiglio sempre l’hummus di ceci, ma anche i polpettoni di verdure, le torte salate, i sughi con trito di erbette”.

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Bellunese trapiantato in pianura, arrivato a Padova per studiare Scienze Politiche e poi per un master in Studi Interculturali, dopo l’esperienza come gelataio oggi Marco cura in particolare la cantina del locale, che include diverse produzioni dei Colli Euganei e dei Colli Berici:“Sei bianchi, sei rossi, due bollicine, due fissi, tutto al calice. Cerco produttori che coltivino varietà autoctone, legate al territorio, al terroir. L’idea è quella di proporre una mescita in continuo cambiamento. Vini dalla produzione limitata, che una volta finiti non si trovano più”.

Foto di Giulia Callino
A frequentare l’Osteria è prevalentemente una clientela adulta – che, in genere, non è vegetariana: “Vengono da noi perché apprezzano ciò che facciamo, la filosofia, i prodotti. La clientela più giovane ci scopre frequentando il vicino cinema Astra o la Libreria Limerick, oppure in occasione di concertini, reading e piccoli spettacoli teatrali che organizziamo nel plateatico esterno, fra cui, in estate, l’Arcella Folk Festival. Riuscire a riempire di vitalità questo parcheggio significa anche creare un altro racconto dell’Arcella. Un quartiere che, negli anni, continuiamo a vedere cambiare in meglio”.

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Oggi, l’Osteria occupa gli spazi che furono di un altro piccolo ristorantino, di una bigiotteria e, ancora prima, di un karaoke: dove in passato erano appesi gli schermi che mostravano i testi delle canzoni, in questo momento campeggiano i ritratti illustrati dei dipendenti del locale. Tra questi Francesca, che nel ristorantino ha diversi ruoli.

Foto di Giulia Callino
“Qui sto in cucina, preparo le torte, curo i catering esterni” mi racconta Francesca “Ma come secondo lavoro mi occupo anche di contabilità, un lavoro del tutto diverso. Per molti di noi, l’Osteria è il modo in cui riusciamo a dare una certa forma a parte del nostro tempo. Recentemente è capitato ci chiamassero anche dal Comune e da altri enti dove non eravamo mai entrati, che ci conoscessero e ci dicessero che siamo bravi. Ovviamente è una cosa che fa piacere: siamo una cooperativa di lavoro, però al di là di tutto c’è sempre stata questa spinta a voler essere qualcosa di più. In qualche modo, in questo sento anche un collegamento con i miei studi in storia dell’arte. L’arte presuppone un rispetto non solo nei confronti della bellezza, ma dei valori di una cultura. E una cultura che non rispetti il contesto in cui si colloca è una cultura asfittica. Se tutto è in relazione, c’è una forte relazione tra quello che tu esprimi attraverso ciò che fai e la tua visione della realtà”.