“Abissinia addio, at salut Bissinia” pronunciò soddisfatto il conte Martinelli dopo aver costruito in tutta fretta una casa in mezzo alla strada che serviva a prolungare il viale fino in fondo al quartiere Abissinia. Il conte aveva pensato di affittare i suoi terreni ad una clientela facoltosa di vacanzieri che mal si legava a quei volgari pescatori. Non aveva però valutato l’ostinatezza degli abitanti della vasta e popolosa Abissinia. Leggenda vuole che, nella notte, i Scucera, i Spacanti, i Brancon, i Bienc, i Sargot, armati di badili e picconi, distrussero la casa e riaprirono la strada che univa il centro all’Abissinia.
Stiamo parlando del quartiere più autentico di Riccione. Costruito su disegno dell’ingegnere Martinelli, si sviluppa sotto la ferrovia nel tratto che da viale Martinelli conduce fino a viale San Martino. Venendo dalla sfavillante promenade di Ceccarini, la sensazione è quella di fare un passo nel passato, di entrare in un paese, dove si vive un’eterna domenica mattina. Di quelle che non punti la sveglia perché hai fatto baldoria la sera, di quelle il cui unico obiettivo è riposarsi. Il letargo è scandito dalle campane della Mater Admirabilis, la parrocchia del quartiere.
La giornata in Abissinia parte sempre dal bar gelateria Angelini e dagli schiamazzi dei suoi avventori. Il bar si trova all’ultimo incrocio prima della spiaggia ed è qui da più di un secolo. (I signori che giocano a briscola sono qui da poco meno). “Baron Fafolito e la Clarice?” domanda uno “Me lo ricordo! Il mago cartomante, il figlio del tabaccaio” risponde l’altro. “E l’Anna con la sua valigetta per le punture?” “L’ha sbusi e cul ma tot quei d’Abissinia..” continua senza esitazione l’altro “…in bicicletta estesa e inverne.”
I personaggi mitologici del quartiere sono argomento fisso di conversazione e ora vivono anche in un gruppo Facebook che pubblica quotidianamente foto d’epoca del quartiere. Le sfoglio seduto al tavolo, mentre aspetto il pranzo al Rosmarino Bistrot.
Sono entrato attirato dai commenti positivi di una coppia di bolognesi sulla porta. Dimenticate Parigi; qui le sedie sono di plastica, le tovaglie di carta e non c’è la musichetta Jazz di sottofondo ad attenderti. Si bada alla sostanza: le porzioni sono abbondanti e il pesce freschissimo. La signora Tatiana chiede dalla cucina perché non ho finito il secondo. “Sono pieno signora… ci saranno stati 40 sardoni nel mio cartoccio!” esclamo, provato.
“Dell’Abissinia adoro l’odore del pitosforo in fiore” dice (facendo un respiro profondo) Monica, bolognese di origine e riccionese di adozione. “Venivo il weekend da ragazzina” racconta “e, appena ho potuto prendere casa, ho scelto di vivere Riccione tutto l’anno” Oggi pomeriggio si vede al Mopi (dove è sempre il momento giusto per fare aperitivo) con l’amico Franco, che con la ristrutturazione della boutique che gestisce con moglie e figlia ha dato una direzione virtuosa alla trasformazione di Viale Gramsci, la via commerciale più importante dell’Abissinia ma che spesso ha timore di rischiare. L’amicizia tra Monica e Franco ha portato alla costituzione di un Comitato di quartiere e all’organizzazione di un calendario di eventi anche in bassa stagione, tutti all’insegna della cultura: serate di musica jazz con Onorino Tiburzi, presentazione di libri con gli autori e musical con i Ragazzi del Lago.
Il pitosforo che ama Monica, affolla le cancellate e nasconde le ville liberty più belle, monumenti del turismo d’elite degli anni “20. Tra queste spicca Villa Antolini, disegnata dall’architetto di origini dalmate, Mirko Vucetich. Le sue curve e i suoi oblò rendono la villa un gioiello misterioso e dal forte valore simbolico.
“Anche l’albergo dei miei in origine era un villino” mi racconta Lorenzo al telefono, parlando dell’attività di famiglia “l’ho scoperto da alcuni documenti che ho raccolto personalmente”. Non riesco ad incontrare Lorenzo perché torna qua solo per le feste comandate; la sua vita è a Milano e mi accontento di una guida via telefono.
Con lui condivido una personalità nostalgica e “fuori stagione” che non resiste al fascino d’insegne vintage, colori sbiaditi e titoli di hotel esotici (come il suo “Myosotis”).
“Noi figli di albergatori ci conoscevamo tutti e correvamo su e giù per Viale San Martino all’ombra degli alti pini tutto il giorno” racconta. “Lì c’era il calcetto insaponato, là le molle e là il Luna Park”. Tutto è, dove e come, lo ha lasciato Lorenzo.
E mentre i turisti vanno via, qualcun altro sceglie di svernare in queste acque. La tartaruga Carolina ha rischiato l’ipotermia a causa di una mareggiata ma ha avuto la fortuna di spiaggiarsi qui. Dentro l’ex colonia Bertazzoni, nei pressi del bagno 44, è allestito l’Ospedale delle tartarughe, dove biologi, veterinari, naturalisti e volontari soccorrono da trent’anni animali in difficoltà. “Abbiamo liberato circa 700 tartarughe marine, rimaste impigliate nelle reti dei pescherecci, ferite oppure intossicate da indigestioni di plastica” mi racconta emozionata Grazia, ex volontaria e ora parte dello staff di Fondazione Cetacea. Al momento sono ospedalizzate nove tartarughe, ma Martina e Pimpa verranno rilasciate domenica prossima in un evento pubblico. Visitare la fondazione (previa prenotazione) è un’opportunità per capire di più dello stato di salute dei nostri mari e l’occasione per svegliarsi dal letargo …almeno nell’impegno di tutela dell’ecosistema marino.
La mia giornata termina nel giardino dell’ex Grand Hotel, o meglio in quelle che erano le lavanderie del Grand Hotel di Riccione. Qui da un anno e mezzo ha aperto Indaco, un ristorante / cocktail bar che fonde la storia all’entusiasmo di giovani ragazzi. Il menù è lunghissimo e i cocktail sono presentati in preziosa cristalleria, con fiori eduli e sculture di isomalto. Mentre sprofondo nei divanetti color (manco a dirlo) indaco, il bartender Francesco mi svela il segreto per una vita “Zero Stress”: “lime, zucchero di canna, menta fresca, ananas essiccata al basilico e una speciale acqua tonica.”