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Luoghi freschi per l’estate: il Museo della Bora di Trieste

Firenze ha Ponte Vecchio, Pisa la torre pendente, Parigi la torre Eiffel. Trieste ha la Bora. Perfettamente in linea con il suo essere sfuggente e surreale, la caratteristica distintiva di questa città non è un monumento, ma un vento. Non è una costruzione, ma qualcosa di invisibile che sposta tutto. Perché la Bora non si vede, se non su chi incontra. Persone, ombrelli, tegole, camion, gazebi.

Dal 2004 il Museo della Bora e del Vento raccoglie una delle caratteristiche più presenti e inafferrabili di Trieste. Un museo di meraviglie invisibili

Foto di Cristina Ki Casini

Ma, per quelli in cerca di souvenir da portarsi a casa, un pezzo di gazebo distrutto dalla Bora non era esattamente come quello del muro di Berlino. Così Rino Lombardi, copywriter di professione, superando la provocazione che già fece Piero Manzoni, e reinterpretandola, ha pensato di mettere la Bora in un barattolo e di venderla a tutti i sognatori di passaggio. Ed evidentemente di sognatori a Trieste ne passano molti, perché da quella semplice idea sono scaturite negli anni mille diramazioni. Laboratori nelle scuole, installazioni, collaborazioni, mostre, convegni e addirittura un museo. Nel Magazzino dei Venti, in via Belpoggio 9, si trova infatti il Museo della Bora.

Dal 2004 il Museo della Bora e del Vento raccoglie una delle caratteristiche più presenti e inafferrabili di Trieste. Un museo di meraviglie invisibili

Foto di Cristina Ki Casini

Rino mi dice che il progetto è nato vent’anni fa e la Bora in barattolo all’inizio veniva venduta in una piccola libreria di viaggio (la Libreria Transalpina), i cui proprietari Elena e Alessandro furono subito conquistati dall’idea.

Dal 2004 il Museo della Bora e del Vento raccoglie una delle caratteristiche più presenti e inafferrabili di Trieste. Un museo di meraviglie invisibili

Foto di Cristina Ki Casini

“Sono nate delle amicizie, perché il vento è un tema ricco: sposta le cose, ma prende anche le emozioni. Anch’io approfondendo questo tema ho visto quanti mondi si aprivano. Perché è un universo complesso. Hai sia il rapporto del vento con la città, ma anche i diversi aspetti che lo riguardano: la scienza, la meteorologia, la letteratura, l’arte, il cinema”. Indago fra i titoli della cineteca del museo e scopro che c’è anche il film di Joris Ivens “Io e il vento” del 1989: e con questo Rino si è completamente assicurato la mia simpatia e certificato la sua preparazione ai miei occhi.

Dal 2004 il Museo della Bora e del Vento raccoglie una delle caratteristiche più presenti e inafferrabili di Trieste. Un museo di meraviglie invisibili

Foto di Cristina Ki Casini

Il vento ha portato qui diverse troupe televisive, da Artè, che ha realizzato una serie sul vento; fino al regista austriaco, Bernhard Pötscher, che sta lavorando a un documentario dal titolo “Bora, storie di vento” girato principalmente in Croazia e nel quale il museo ha fatto una “comparsata”.

Dal 2004 il Museo della Bora e del Vento raccoglie una delle caratteristiche più presenti e inafferrabili di Trieste. Un museo di meraviglie invisibili

Foto di Cristina Ki Casini

Il museo della Bora non è sicuramente il classico museo minimale e ordinato a cui siamo abituati. Entrando sembra proprio di trovarsi in una stanza in cui la follia del vento si sia appena placata. Cose dall’aspetto più disparato si trovano appese, ammassate, numerate, conservate in teche e armadi, a terra o sulle panche. Il museo è una sorta di contenitore, ma soprattutto è un’esperienza, una performance interattiva, un percorso all’interno del quale Rino conduce i visitatori con un libretto che segue 20 indizi fatti di racconti, piccole esibizioni e dimostrazioni, con accrocchi che girano, sparano aria, producono suoni, misurano l’invisibile.

Dal 2004 il Museo della Bora e del Vento raccoglie una delle caratteristiche più presenti e inafferrabili di Trieste. Un museo di meraviglie invisibili

Foto di Cristina Ki Casini

Dalle corde che venivano fissate lungo le vie e a cui i passanti si aggrappavano per riuscire a camminare alle produzioni realizzate dalla Sartoria Sociale Lister che recupera gli ombrelli rotti (e nei giorni di Bora scura, ovvero con pioggia, i cestini ne sono pieni!) per riciclarli in maniera creativa. C’è anche un anemometro, una sorta di etilometro del vento. Ovvero un apparecchio che soffiandoci sopra ti dice quanto vento hai in corpo, con annessa tabella di riferimento.

Dal 2004 il Museo della Bora e del Vento raccoglie una delle caratteristiche più presenti e inafferrabili di Trieste. Un museo di meraviglie invisibili

Foto di Cristina Ki Casini

Rino sta pensando di trasferire tutto in un altro spazio cambiandone un po’ l’assetto. “Con un giovane videomaker, Simone Cester, stiamo cercando di fare una serie di raccolte di memorie di Bora, con interviste singole e di gruppo, per creare una sorta di archivio di testimonianze”. L’associazione, nata nel 1999 attorno a questa idea di costruire un piccolo centro di documentazione eolica, ha cominciato (e continua tutt’ora) facendo laboratori, eventi e visite guidate nelle scuole, ma si è evoluto e continua in nuove forme. Rino lo definisce un “Piccolo museo in progress”, per esempio adesso chiunque prenoti può godersi questo viaggio tra le sue storie e sono più di 1000 i visitatori che all’anno visitano il museo. E che possono lasciare i propri contributi per il progetto di “Venti in scatola”.

Foto di Cristina Ki Casini

Rino mi mostra un armadio dove sono custoditi più di 300 venti che compongono una sorta di database dei venti spediti da chi è passato dal museo. E, sia chiaro, chiunque mandi il proprio vento diventa ufficialmente un Ambasciatore Eolico con tanto di attestato. L’artista Olivier Douzou è riuscito a catturare perfino un “Original Nose Wind”: dentro una scatolina da fiammiferi infatti c’è uno starnuto (suppongo dall’accento francese).

Dal 2004 il Museo della Bora e del Vento raccoglie una delle caratteristiche più presenti e inafferrabili di Trieste. Un museo di meraviglie invisibili

Foto di Cristina Ki Casini

Un altro esempio di partecipazione riguarda in particolare gli autoctoni ed è la Sezione 16: tutti gli escamotage anti-Bora o ricordi che i triestini hanno adoperato negli anni per “convivere” con la Bora.
Scarpe chiodate e i iazini (sorta di catene per le scarpe!), ovvero degli artigli di ferro (in italiano ramponi da ghiaccio o ghiaccini) da applicare sotto le suole e che servono a non scivolare sul ghiaccio che si forma con la Bora sotto zero. In una teca accanto, ci sono dei pesi che venivano messi nelle borse o legati agli orli delle gonne delle signore per non dare spettacolo. E addirittura un ferro da stiro che la madre metteva nella cartella della figlia prima di mandarla a scuola, con lettera annessa che ne fa il racconto.

Dal 2004 il Museo della Bora e del Vento raccoglie una delle caratteristiche più presenti e inafferrabili di Trieste. Un museo di meraviglie invisibili

Foto via Facebook

Per diversi anni l’associazione ha organizzato la festa delle girandole Girandolart. Il salto di qualità è avvenuto quando la manifestazione è stata invitata ad avere uno spazio all’interno della Barcolana, dopo quell’esperienza è nata BoraMata. Così la città ogni anno a giugno viene invasa da installazioni, laboratori di aquiloni e girandole, spettacoli, letture, incontri con artisti, studiosi e pazzi del vento.

Dal 2004 il Museo della Bora e del Vento raccoglie una delle caratteristiche più presenti e inafferrabili di Trieste. Un museo di meraviglie invisibili

Foto di Cristina Ki Casini

E, infine, c’è anche una piccola biblioteca sulla Bora, studi sul vento e testi di approfondimento, ma anche di opere letterarie in cui la Bora è anche solo citata o fa parte della storia.
A Trieste esiste un museo che custodisce un’idea. Entrarci apre l’immaginario. E a volte conoscere, ascoltare e giocare è molto semplice.

Dal 2004 il Museo della Bora e del Vento raccoglie una delle caratteristiche più presenti e inafferrabili di Trieste. Un museo di meraviglie invisibili

Foto di Cristina Ki Casini

Chiunque esca da lì, oltre a una girandola (costruita rigorosamente da sé), si porta qualcosa in più dentro. La voglia di usare ancora l’immaginazione.

 

L'autore: Cristina Ki Casini

Filmmaker e insegnante. Dopo un percorso in Lettere e Discipline dello Spettacolo, si laurea in Teoria e Tecnica dei Mezzi Audiovisivi a Pisa. Frequenta la scuola Ipotesi Cinema di Ermanno Olmi e la Masterclass Farecinema di Marco Bellocchio. Lavora per diversi anni presso il Festival dei Popoli di Firenze, come responsabile della formazione e insegnante, poi come responsabile della web tv. Ha inoltre insegnato allo IED (Istituto Europeo di Design) a Venezia e a Milano, all’interno del corso diretto da Silvio Soldini Il Documentario Come Sguardo. Al momento vive a Trieste dove sta lavorando al suo primo lungometraggio e conduce Visioni Personali, un laboratorio di formazione sul cinema documentario. Nel 2016 con il corto TRA LE DITA vince il Globo d’Oro, Premio della Stampa Estera come miglior cortometraggio e altri 18 premi in giro per festival italiani e internazionali.

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