Quando abiti a Milano il periodo natalizio scatena un’amabile guerra di richieste da amici e famiglia. Nonostante da ormai mezzo secolo il panettone sia prodotto in lungo e largo nella penisola per tutti la sua origine resta milanese, e ho constatato che procurarsene uno della tipica tradizione artigiana sarà per il burro o sarà per la suggestione della provenienza regala davvero un effetto “prima volta” a chiunque lo assaggi.
Da non milanese mi sono chiesta dove comprare un buon panettone tipico.
Vegani, tradizionali, bio, fatti con farine antiche: l’unica che poteva rimettere in ordine le cose era Luisa, il mio riferimento locale d’eccezione nonché una delle mie vicine di casa. La questione ha inevitabilmente scatenato un piccolo momento Amarcord con tanto di aneddoti, leggende sull’origine e raccomandazioni. Quando le ho chiesto di farmi un nome, con sicurezza ha sentenziato “ Non lontano da qui puoi raggiungere Gattullo”.
Gattullo lo conoscevo. Ne avevo letto in molti articoli come dello storico bar con la storica panchina dove Cochi e Renato provavano i loro storici sketch. Un’istituzione, e il luogo di ritrovo e di ispirazione che negli anni ’60 e ’70 ha segnato l’inizio di quel fermento culturale con Jannacci, Gaber, Villaggio e molti altri. Tutto questo passato te lo ritrovi intorno al bancone fra arredamento retrò e foto che testimoniano il lungo momento d’oro vissuto dalla Milano dei Gattullo e dei suoi clienti.
Incontro Giuseppe, la terza generazione dei Gattullo, che del fondatore porta il nome. Chiacchieriamo e fra targhe e riconoscimenti intravedo il marchio ufficiale del panettone tipico della tradizione artigiana milanese. “Dal 1961 lo facciamo con il nostro lievito madre, quello usato da mio nonno. Seguiamo il disciplinare con tutti gli ingredienti previsti e il processo di produzione riconosciuto come l’unico ufficiale: la ricetta è sempre la stessa. Unico vezzo di mio padre è stato realizzare il panettone del sultano, era l’epoca della guerra del golfo e decise di fare questa versione mediorientale con noci datteri e pinoli”.
Mentre mi mostra il laboratorio le papille gustative si scatenano preventivamente. Ci vogliono 48 ore per fare un panettone e tutto il processo è davanti ai miei occhi. I forni, gli impasti, il signor Mario che li vede crescere da circa 50 anni e che li mette ad asciugare a testa in giù perché la cupola resti bella intatta.
Giuseppe ripensa ai natali del passato: “I ricordi che ho di quando ero piccolo sono gli stessi di oggi perché qui non è cambiato nulla. Il 25 dicembre allestivamo un grande brindisi con i clienti, tradizione che non ho interrotto ma ho spostato al 24 perché il giorno di Natale voglio passarlo con i miei figli: mio padre era sempre qui al lavoro”. Mi sembra di aver fatto la conoscenza di una vera entità storica e so già che ad ogni morso l’immagine di quel laboratorio ripartirà di sottofondo.
Ma siccome di panettoni se ne devono mangiare almeno due diversi tra cena della vigilia e pranzo del 25 ho scelto di sposare anche un progetto che abbia un sapore sociale. Mi sono ricordata di “Buoni Dentro”, una produzione nata all’interno del carcere minorile Beccaria e di San Vittore. Un’opportunità di lavoro che permette una nuova partecipazione sociale per i detenuti, con la realizzazione di pane e dolci di qualità e fra questi di un signor panettone tutto meneghino e davvero buono dentro. Buon morso.