All’epoca dei miei studi universitari, conoscevo una bibliotecaria che si ricordava di me, perché ero quella “che veniva da Lecco, dove c’è la pasticceria Pontiggia”. Quando mi avvicinavo al banco dietro cui sedeva, ammiccava complice sotto il suo caschetto biondo e mi diceva: «E il Pontiggia? Mamma mia, me li ricordo ancora i suoi cannoncini! Buoni così non li ho più mangiati! Ma ormai è un pezzo che non ci vado più». Io le reggevo il gioco e sospiravo con fare sognante, mentre gli studenti ci guardavano, incuriositi da quel nome vagamente letterario: Pontiggia, come Giuseppe.
Tutto questo per dire che sì, la pasticceria Pontiggia è luogo speciale, che sa conquistare i palati di lecchesi e non – come la mia bibliotecaria, che era originaria della “rivale” Como. La bottega si trova in piazza Cermenati, dove le fa compagnia la statua del Manzoni, il lago e, alla sua destra, il “Matitone”, ovvero il campanile della Chiesa di S. Nicolò. L’interno è angusto ed è quasi tutto occupato dal banco con i pasticcini, tra cui spiccano i cannoli siciliani e le sfogliatelle napoletane, che esigono almeno un assaggio: il morbido ripieno di ricotta dei primi sfida la fragranza della pasta sfoglia che avvolge le seconde.
La vetrina esterna, invece, mette in bella mostra le torte: crostate, strudel e altri dolci “stagionali”, come chiacchiere e frittelle. Non mancano nemmeno le prelibatezze vintage, come i mitici amaretti di Sassello, il mio peccato di gola preferito. Data la natura angusta del locale, tuttavia, di solito mi accomodo all’esterno, dove la pasticceria dispone di uno spazio riscaldato e dotato di alcuni tavoli. Ci vado soprattutto quando ho bisogno di un po’ di conforto e di scambiare quattro chiacchiere davanti a una cioccolata o a un delicato the verde.
Per chi volesse poi deliziare, oltre al palato, anche gli occhi, può sempre recarsi al palazzo delle Paure, che sorge a due passi – quasi di numero – dalla pasticceria. Il nome, che di certo è peculiare, si deve al fatto che un tempo il palazzo accoglieva gli uffici della finanza e della dogana. Oggi è invece adibito a un più piacevole scopo, cioè quello di spazio espositivo e, all’occorrenza, di sala per le conferenze.
I locali della struttura ospitano in pianta stabile una mostra dedicata all’alpinismo nostrano, la cui storia si può osservare attraverso i cambiamenti subiti dall’attrezzatura tecnica, le scarpe in primis: si va dagli scarponi pesantissimi degli anni Trenta, alle morbide scarpe gatto degli anni Settanta fino ai cosiddetti “carrarmati” di qualche decennio fa.
Oltre a ciò, c’è anche una galleria di arte contemporanea, che vale il tempo di una visita. Tra gli artisti esposti, infatti, c’è il bellanese Giancarlo Vitali, pungente ritrattista d’umanità, ma anche Mario Ceroli, Mimmo Rotella e molti altri. Consiglio, infine, di dare un’occhiata anche alla vista offerta dalle finestre. Il quadro che se ne ricava porta la firma delle nostre montagne.