Che Natale sarebbe senza pranzi e cene? E quale posto migliore per chiederselo, se non a pochi chilometri da Cuneo, dove la cucina rappresenta un elemento culturale attorno cui si costruisce il concetto stesso di comunità?
Sulla piazza principale di Dogliani, pala alla mano, uno dei cuochi più rinomati delle Langhe si adopera per liberare l’ingresso del ristorante dalla neve. È Marco Battaglino, titolare insieme a Flavia Bergamo dell’Osteria Battaglino. Entrambi, ormai da qualche giorno, lavorano al menù del pranzo di Natale.
Il loro ristorante è molto accogliente e tra il personale c’è aria di famiglia.
In cucina Marco mi spiega cosa significa, per lui, pensare un menù: “Cerchi di creare delle emozioni, immagini delle sensazioni e provi a imprimerle nelle persone che decideranno di passare il Natale con te. Quando studiamo un menù cerchiamo di immaginarci come sta la gente a tavola: con che stato d’animo arriva e con che stato d’animo vogliamo che esca”.
“Natale è una festa in cui si beve e si mangia – continua a raccontare – si ha la pancia piena e la voglia di stare ancora seduti a tavola a chiacchierare. È un menù che richiede altre sensazioni rispetto a un menù normale. Deve riportare al caldo della famiglia, ed è veramente il lavoro più interessante di un cuoco quello di pensare a un menù tenendo conto della tradizione, del territorio, ma anche l’impronta del tuo ristorante.”
E, certo, aprire le danze con un gambero crudo freschissimo di Mazara del Vallo non è proprio ciò che ti aspetti dal Natale in Langa. Ma l’idea di Marco è, da sempre, quella di mischiare carne e pesce, piatti più elaborati e piatti tipici.
E, dopo essersi versata un bicchiere di bollicine, Flavia mi ricorda che il pesce fa parte della tradizione piemontese più della bagna càuda, perché per i piemontesi di questa zona a quaranta minuti dal mare la vera festa era andare in Liguria a mangiare il pesce. “Noi non viviamo di battuta e vitello tonnato, anzi”. L’idea è quella di combinare la festa vacanziera con quella casalinga. “In questo menù, nel mezzo,” dice Marco, “ci sono i plin in brodo che tengono ferma la tradizione. Un piatto semplice e concreto che è davvero una cosa eccezionale di questa stagione perché il brodo buono c’è quando c’è il bollito.”
Tra il gambero e i plin si passa per un’insalata di albese, le animelle con carciofi e caviale e un fantastico risotto di scampi. Tutta tradizione rivisitata: “Noi piemontesi”, dice Flavia “le animelle le abbiamo sempre mangiate nel fritto misto, perché della bestia non si buttava via niente.” “A Natale però,” aggiunge Marco, “serve anche qualcosa che sappia di cucinato, che dia l’idea di casa.” Allora ecco il cappone, rigorosamente allevato a terra, a pochi chilometri da qui: un’eccellenza del territorio.
Chiacchierando scopro che c’è una cosa alla quale Marco nonostante il menù fisso non ha intenzione di rinunciare. “Se hai già letto il menù e te ne stai seduto lì ad aspettare le portate, il pranzo rischia di diventare monotono. Secondo me il vero gusto del mangiare sta nell’effetto sorpresa: qualcosina che esce dalla cucina tra un piatto e l’altro. Se, come l’anno scorso, i piatti classici li alterni a un’ostrica fritta tutti si ricordano quella, che non era nemmeno in menù e nessuno se l’aspettava, però ti arriva, la mangi e ti piace. Fa parte del piacere del pasto, dello stare a tavola e anche di cucinare.”
Se Babbo Natale fosse un cuoco, forse, è così che ci farebbe mangiare.