Anna ha 17 anni. Il pub è enorme: tre sale piene di gente e tutte le tv accese, perché quella sera gioca il Torino. “Sono qui per la prova”, dice. Il titolare la accoglie, le fa vedere il bancone e va a guardarsi la partita. È un test? Chi lo sa. Il punto è che Anna non ho mai fatto un cocktail, non ha mai spillato una birra, non ha mai usato la macchina del caffè. I clienti fissi le danno una mano – un terzo di gin, inclina il boccale – e lei ce la fa: porta a termine un turno di sei ore. Alle tre, proprio quando il peggio sembra passato, un ubriaco prende uno sgabello e lo lancia contro il bancone. Un’intera rastrelliera di bicchieri si rompe, Anna si copre la testa con le mani. “Se non vuoi più tornare, capisco” le dice il titolare, ma lei, ricoperta di vetri, sorride: “Secondo me questo sarà il mio lavoro”.

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Quindici anni dopo Anna può dire di averci visto lungo: non ha mai smesso di stare dietro un bancone ed è la presidentessa del terzo circolo Arci d’Italia, il Magazzino sul Po.

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A Torino si dice che tutte le strade portano ai Murazzi, che è un po’ come dire che tutte le strade portano al fiume. Ed è lì che si trova il Magazzino, aperto dalle 9 di mattina alle sette del giorno dopo.

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La programmazione diurna prevede attività che spaziano dall’insegnamento dell’italiano per stranieri ai corsi di percussioni. Alle 21 iniziano i concerti, in tutti questi anni si sono avvicendati sound come il Jamaican Boogie degli Uppertones o il punk blues dei Movie Star Junkies. Dall’una alle sette la serata con i dj. Anna lavora a ritmo di musica. “L’idea di lavorare di giorno? Sento che non è il mio”, dice. “Non è che mi venga male, ma è diverso da quando una cosa ti viene naturale”.

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Anna al Magazzino ha trovato la sua dimensione, ci sono il bancone, l’alba sul fiume e i clienti che alle sette si fermano a pulire. L’atmosfera non è quella di un club notturno, ma di un circolo. Non c’è un servizio di sicurezza standard, un bestione pronto a scaraventarti fuori dal locale, ma un clima di distensione naturale, dove i soci sono i primi a smorzare eventuali tensioni. E ci si diverte parecchio. Di musica ce n’è per tutti i gusti, da Leo Mas all’Hanglovers Party, passando per Jazz is Dead e, tra un ballo e l’altro, qualcosa da bere. Annina ormai la conoscono tutti. “Il bar è una specie di palcoscenico”, dice, “è un mondo a parte. C’è la professionalità, il saper gestire la folla, ma anche la relazione con il cliente, che è tutto”.

Foto di Maria Durando
Fuori fa freddo e lei sta per iniziare il turno. “È un lavoro duro”, dice, “qui siamo in 30, una famiglia. È con loro che passo il Natale, perché con questi orari non è facile avere una vita”. Ma a giudicare dal suo entusiasmo il gioco vale la candela. Valgono i musicisti, l’alba e i clienti che ti aiutano a mettere a posto; valgono le attività culturali e il Po, quel fiume che a Torino, da sempre, raccoglie gli scampoli della serata, gli occhi stanchi e i sorrisi complici di chi non è andato a dormire. “Il Po è parte integrante di noi. Con Legambiente ci abbiamo fatto il bagno, cerchiamo di promuovere la cultura del fiume, proteggerlo, mantenerlo pulito. È il nostro mare”.

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Non è dunque un caso che mentre Anna faceva la sua prima prova in un pub, Giancarlo smettesse di fare il meccanico per rilevare una birreria sull’altra sponda del fiume, proprio davanti al Magazzino. Il suo sogno? Dare da bere e da mangiare alla gente. Quando? Di notte.

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È così che nel 2004 nasce il Paddock, un pub notturno con cucina aperta dalle otto di sera alle 4 di mattina, sei giorni su sette: una benedizione per i languori tardivi e, nelle gelide sere d’inverno, un vero e proprio rifugio dove gustare Hoegaarden e Leffe alla spina.

Foto di Martina Merletti
I dvd dei concerti rock e blues che girano tutta la notte (quando becco quello dei Dire Straits sono felice) gli occhi chiari di Giancarlo e le fagiolate servite al tavolo in padelle di acciaio. “Quando l’ho preso già lo vedevo come lo volevo io”, mi dice Giancarlo. Ed effettivamente l’atmosfera della saletta è unica.

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Insieme a sua moglie Anna, un’infermiera estroversa e gioiosa, ha dato vita a un luogo in cui la pulizia e la cura dei dettagli sono tutto. “Le birre alla spina sono di selezione, tutte belga”, mi dice prima di tornare, premuroso, dai suoi clienti.

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È un uomo dalla gentilezza rara, attento alla qualità di ciò che serve. Ama andare a proporre il menù al tavolo: la pasta fatta a mano, la carne rigorosamente piemontese e un panino crauti e salsiccia che si vocifera essere il più buono della città. E allora i clienti arrivano, a gruppi o solitari.

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Le anime notturne della città convergono sulle due sponde del fiume. A mangiare o ballare, a essere serviti da Anna, in piedi, o da Giancarlo, seduti; al Paddock o al Magazzino sul Po: l’importante è sentirsi a casa.