L’arte classica è una cosa che ti devi andare a cercare nei musei e nelle chiese, la Street Art ti viene messa davanti agli occhi nel percorso fra casa e ufficio, sul muro scrostato di quella vecchia autorimessa, sul retro di un casermone popolare, talvolta anche sulle vetrate di una pescheria. So che messa così sembra una cosa un po’ forzata ma la storia che vi voglio raccontare è quella di Marco “Mace” Rodella, uno che ha provato a trasformare in una forma d’arte l’usanza dei pescivendoli triestini di promuovere i propri prodotti scrivendo i nomi dei pesci e i prezzi sulle vetrine con gran pennellate di bianco; “Stormi di orate portate dal vento, vive e agghindate con squame d’argento”,

Foto di Roberto Lisjak
Mace lavora in rima e in assonanza con il pescato del giorno, plasma motti e sorta di haiku che riassumono cultura popolare, indole giullaresca e advertising. La gente fotografa le sue vetrine, le condivide sui social network, spesso diventano veri e proprio contenuti “virali” con migliaia di condivisioni, esattamente come avviene per ogni nuovo “pezzo” di uno street artist. “C’è gente che mi ferma per strada – ci racconta Mace – <<Allora cosa vuoi scrivere domani?>> oppure gente che si piazza davanti la vetrina e aspetta che io inizi a scrivere”.

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Mace è un artista a 360°, scrive canzoni e le canta con il suo gruppo Beat on Rotten Woods e ha recentemente esposto si suoi disegni a una personale . Ma come è nata questa idea delle vetrine? “Io non sono stato il primo a provare a fare delle vetrine diverse dal solito, c’era già la pescheria di Piazza Garibaldi 8, la Pescheria Davide, ma loro avevano uno stile molto diverso, molto basato su un certo humor non-sense. Io ho fatto la prima vetrina nel 2005, non ricordo se avessi già visto le loro oppure ho iniziato per conto mio, di sicuro loro c’erano prima ma io ti assicuro che non ho copiato, l’idea era buona ma volevo farla a modo mio, volevo che fosse più poetica, più artistica.”

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La sua “opera” più famosa, che ha avuto migliaia e migliaia di condivisioni su Facebook è sicuramente la vetrina dedicata alla festa della donna: “Le mimose xe superade, ale mule cioleghe orade [Le mimose sono superate, alle ragazze prendete delle orate]”. “Lì ho capito per la prima volta che i miei lavori non riguardavano solo la cerchia dei miei amici ma finivano sotto gli occhi di un sacco di gente che non conoscevo, mi è capitato persino di essere fermato per strada da persone che volevano farmi i complimenti. In quel momento forse mi son sentito troppo legato alle rime che inventavo per le vetrine, per un sacco di sconosciuti io ero “quello delle vetrine tutte matte”, andavo nei locali a cantare e la gente mi chiedeva consigli su che pesci comprare, quanto costava lo spada o se era stagione per gli sgombri”.

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“Lavoro da quindici anni nella stessa pescheria [La Pescheria Lorenzo di via Coroneo, 31/2], quando faceva parte di una catena di supermercati loro avevamo regole abbastanza rigide da rispettare e avevano un certo timore delle reazioni del pubblico. Una volta scrissi “seppie omeopatiche” e il titolare mi chiese di cancellare la vetrina per timore di conseguenze legali. Tutte queste difficoltà mi avevano scoraggiato e avevo quasi smesso di scrivere sulle vetrine. Poi ad un certo punto siamo diventati autonomi e ho avuto carta bianca, quindi ho iniziato a scrivere “in bomba”, ne facevo di continuo. Adesso è un periodo in cui ho rallentato ma mi sta tornando l’ispirazione di una volta”.

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L’ispirazione, dunque: “Mia nona ogni sabato la fa in forno un bel ribon, per quel a 80 ani la xe come Sciaron Ston!” Se non fosse una banalità gli chiederei come gli vengono: “A volte si tratta di intuizioni che arrivano in un momento e devo fare solo piccoli aggiustamenti prima di scrivere, a volte devo concentrarmi e ci metto un po’ per trovare rime che non siano banali; mi viene in mente un aggettivo e mi spacco la testa per capire con quali pesci può fare rima. Avevo preso l’abitudine di tenere sempre con me un quadernetto su cui mi appuntavo rime e idee per le future vetrine. Quella di mia nonna me la son dovuta un po’ costruire perchè la rima con Ribon [Il Pagello] non era proprio facilissima”.

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Una cosa che colpisce di Mace è il suo essere “artista” fino al midollo; le sue espressioni, siano esse rime per le vetrine, canzoni o disegni, sono tutte opere profondamente consapevoli, intenzionali, pensate, e si intravvede un filo conduttore che unisce tutto ciò che lui crea.

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“Io preferisco tenere abbastanza separate le mie attività in pescheria con le cose extra; capita che qualche cliente della pescheria venga ai miei concerti ma raramente succede il contrario”.

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“Dai fioi ai pensionati, dai portuai ai avocati, xe tuti come mati pei sardoni alabardati”. Da dove viene questo flow? Mace a Trieste è storicamente legato alla scena Hip Hop, alla Breakdance, alla Street Culture. Questo suo percorso può averlo influenzato quando si è messo a fare “pezzi” sulle vetrine della pescheria.

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“È nato tutto da là: anni fa a Trieste c’era una scena Hip Hop molto attiva, c’erano i DJ, gli MC, io ballavo la breakdance, ci muovevamo tutti assieme come una tribù, erano la mia famiglia. Quindici anni fa avevo fatto qualche sticker – avevo scelto di fare sticker perché non volevo che mi beccassero e ad attaccare uno sticker ci metti un attimo – , tutti pezzi unici”. Insomma, girando per Trieste, date un occhio non solo alle vetrine ma anche ai muri. Mace, potrebbe essere anche lì.