Esterno giorno. In un piazzale semi-abbandonato di fronte al mare, un uomo calvo cammina di spalle in direzione di un altro, più anziano. Sullo sfondo i profili delle gru suggeriscono che ci troviamo in un porto.
Poco dopo, un terzo uomo si avvicina. Porta una catena d’oro al collo e una cresta da Mohicano. Si chiama Gennaro Savastano, mentre l’altro, quello calvo, risponde al nome di Ciro Di Marzio. L’atmosfera è tesa e potrebbe esplodere da un momento all’altro. Il vecchio però interviene nel tentativo di calmare gli animi: “Gennà, il passato è passato, ora bisogna guardare avanti”.
Così, dopo mesi di guerra a distanza, avviene il drammatico incontro tra i due protagonisti di Gomorra nel corso della seconda stagione. La città però non è Napoli. È Trieste, che negli ultimi anni ha ospitato decine di produzioni cinematografiche.
A dire il vero, di film a Trieste ne sono stati girati più di 200, dal 1911 in avanti, e dunque ognuno può scegliere il percorso che più gli assomiglia. La mia passeggiata cinematografica a Trieste non poteva che partire dal mare, per la precisione dal Porto Vecchio dove i triestini vanno a fare jogging alla luce del tramonto.
In passato, prima dell’incontro tra i boss di Gomorra, questa stessa meravigliosa location si era trasformata nel porto di Tobruk per “Il paziente inglese” di Anthony Minghella (1996) e in quello di Southampton ne “L’immagine del desiderio – La cameriera del Titanic” del regista catalano Bigas Luna (1997).
Proseguendo la passeggiata verso il centro, impossibile non fermarsi in piazza Unità d’Italia. Impossibile soprattutto abituarsi alla regale grazia di questo luogo, diverso ogni volta che ci posi sopra lo sguardo. In ordine di tempo, l’ultimo regista ad utilizzarla come scenografia per la propria storia è stato Gabriele Salvatores per “Il ragazzo invisibile” (2014), interamente ambientato in città.
Ora, lasciata piazza Unità mi incammino lungo via Cadorna che poco dopo cambia nome in via del Lazzaretto Vecchio: le strade di Trieste mi riportano a due film molto lontani tra loro, entrambi girati qui. Il primo è “La Sconosciuta” di Giuseppe Tornatore, in cui la città è il fondale anonimo e spietato per la vendetta di Irena, interpretata da Ksenia Rappoport.
Il secondo è un film del ‘52 con Tyrone Power e Charles Bronson, “Corriere Diplomatico”, una delle tante spy story ambientate in città nel dopoguerra, che raccontano di una Trieste al centro degli intrighi tipici della guerra fredda. Si dice però che Tyrone Power a Trieste non sia mai venuto e che tutte le scene in città siano state girate da una controfigura: peccato per lui.
Infine, torno verso il mare, direzione riva Nazario Sauro. Il grande edificio in mattoni rossi che oggi risponde al nome di “Salone degli Incanti” e ospita il Centro Espositivo di Arte Moderna e Contemporanea, un tempo era la Pescheria Centrale, il mercato del pesce insomma. Per “Il Padrino – Parte II”, Francis Ford Coppola trasformò la grande sala centrale della Pescheria in Ellis Island, luogo d’arrivo del futuro Don Vito Corleone a New York.
Sarebbe veramente bello anche per me, un giorno, fare un film a Trieste. E chissà, forse partirei proprio dall’edificio della Vecchia Pescheria che su un lato ospita la sede dell’Acquario Marino.
Qui, per oltre trent’anni ha abitato la mascotte della città, un piccolo pinguino di nome Marco, rapito da marinai triestini in Sudafrica e adottato dalla cittadinanza. In tutti i modi tentarono di farlo riprodurre, presentandogli numerose possibili partner, ma lui rifiutò sempre di accoppiarsi. Alla sua morte, avvenuta nel 1985, l’esame autoptico ne svelò il segreto: Marco era in realtà una pinguina, o una pinguinessa come preferite. Un finale con il colpo di scena.