“E pensare che a me, da piccolo, i succhi di frutta non piacevano”. Luca sorride, afferra la bottiglietta del suo succo all’anguria e salvia e ne beve un grande sorso. “Questo invece non smetterei mai di berlo”. Siamo ad Asti, da Succoso Nonlatteria, un piccolo locale con laboratorio annesso che produce succhi a freddo e pasticceria vegana e crudista.
Seduti ai tavolini clienti più o meno giovani, tutti con la propria bottiglietta – rigorosamente compostabile – di succo di frutta. Per scegliere il gusto c’è la lavagna con i succhi del giorno, il menu di pozioni e tisane, di pasticceria e di latte vegetale. “Con questo caldo – spiega la ragazza al bancone – suggerirei anguria e salvia. Oppure, se serve un po’ di energia, c’è l’alga spirulina”. Accanto a lei, un poster riporta tutti i nomi dei “superfood”, quegli alimenti che contengono particolari sostanze benefiche per la salute. Alle sue spalle, qualche bottiglia di superalcolici, perché anche i palati più esigenti abbiano la propria parte.
Incontro Fabrizio, uno dei due soci proprietari del locale. “Sai – mi dice, sedendosi al tavolino – siamo un po’ come i panettieri, lavoriamo di notte per produrre i succhi, che in questo modo restano vivi. L’estrazione a freddo, soprattutto se avviene, come nel nostro caso, senza pascalizzazione, permette di avere un succo fresco e con una carica batterica che lo rende commestibile per tre giorni. Noi, grazie ad un nuovo metodo che vorremmo brevettare, siamo riusciti a farlo resistere fino a sei”.
“Prima di calarci in questa avventura facevamo tutt’altro – racconta Fabrizio – e quando ci siamo decisi ad aprire Succoso Nonlatteria, nel maggio del 2017, arrivavamo da una gestione di un locale estivo, che ci aveva permesso di sperimentare succhi di frutta e cocktail. L’idea di far nascere un luogo simile è nata per scommessa, ma ci siamo impegnati: abbiamo visitato tutti i competitor, studiato il prodotto, ci siamo confrontati con una nutrizionista. E poi ci siamo lanciati”.
La frutta proviene da agricolture prevalentemente biologiche italiane, secondo una “scelta ragionata”. “Ci serviamo da piccolissime realtà, che operano con principi che rispecchiano i nostri ideali. Anche se non tutte sono certificate come “bio”, sappiamo che si tratta di agricoltori seri e professionali, di altissima qualità. Le pesche, le mele, le pere arrivano ad esempio dalla Cascina La Gioia di Refrancore, mentre il vino che usiamo per i cocktail proviene da La Ballerina, di Montegrosso d’Asti. Il rabarbaro, invece, ci arriva da Res Naturae, vivaio di Lecco, mentre gli agrumi sono siciliani e bio, de Il Viviere di Siracusa”.
Mentre Fabrizio mi parla, il mio sguardo si posa su un mobiletto: ci sono, esposte, bottigliette di “pozioni, diverse nell’etichetta ma uguali nel packaging, più serioso e meno accattivante di quello del nonlatte o dei succhi. “Le pozioni non hanno un sapore buono – dice – Il loro scopo è quello di essere utili, soprattutto se consumate in un ciclo necessario perché l’organismo assorba i principi attivi delle radici, dei piccoli frutti e delle erbe spremute a freddo. Ci sono quelle per prevenire i malanni di stagione, quelle per eliminare i metalli pesanti: assomigliano agli shot americani, pare che oltreoceano ne vadano matti”.
Che siano succhi o pozioni, ghiaccioli o pasticceria, la regola è chiara: la lista degli ingredienti deve essere corta, semplice, efficace. Niente acqua e zucchero aggiunti nei succhi e nei ghiaccioli, bandite uova, farina e burro dai dolci. “Ci piace poter lavorare con il minor numero di ingredienti possibili”. Arianna, dal tavolo accanto, racconta: “Io non sono vegana, ma adoro il loro nonlatte: è un latte vegetale, a volte di carruba, a volte di nocciola, che in inverno viene anche servito come se fosse un cappuccino”.
La sua amica, incuriosita dal dolce che Fabrizio mi ha proposto, si lascia tentare ed addenta un gianduiotto, piccola pallina di cacao, nocciole e datteri medjoul. “Sembra piccolo – mi dice ridendo – ma è una bomba: bisogna andarci piano, sembra di mangiare una fetta di torta intera!”.
Lentamente, il locale si svuota e si avvia alla chiusura. Prima di salutarci, Fabrizio mi dice: “Organizziamo ‘aperitivi improvvisi’ che sfatano un po’ il mito del vegano-crudista-triste. È l’occasione per proporre tartine particolari, dolci diversi da quelli proposti quotidianamente. E poi i nostri succhi si tirano a festa e si mescolano ai superalcolici, alle bollicine, alla vodka, al gin, dimostrando come si possa essere buoni e belli. E soprattutto, mai noiosi”.