“Sono passati due anni ormai da quell’episodio, me lo ricordo bene. Ho mandato due squadre per uno sgombero in un appartamento di tre piani. C’era di tutto, abbiamo caricato una vita su tre camion. Era luglio, il sole picchiava forte fuori dalla casa di un vecchio maresciallo in pensione”. Racconta così Asdin, algerino, da venti anni in Italia e memoria storica di Triciclo, mercatino dell’usato che si occupa di ritiro, riuso e riciclo.
Ogni oggetto usato porta con sé storie sempre nuove. E varcata la soglia di Triciclo si spalanca un luogo delle meraviglie: apparecchi telefonici per comporre numeri del passato, confezioni di latta che hanno custodito sapori antichi, corredini per neonati dei primi del ‘900, mangianastri, pianoforti tedeschi, addirittura l’insegna di una scuola elementare, un’elegante scrivania in mogano illuminata da un abat-jour. Un piccolo mondo antico che rivive, tutt’ora presente.
“Il giorno dopo il maresciallo mi chiama – continua a raccontare Asdin – e mi dice che c’è un grosso problema. Tra gli oggetti ritirati c’era anche una vecchia macchina da cucire che si era dimenticato di mettere da parte prima dello sgombero. La rivoleva assolutamente. Gli dico di venire pure a riprenderla, perché tutto il materiale era ancora in magazzino. Dopo una mezz’ora scarsa me lo ritrovo davanti all’ingresso, zuppo di sudore e molto agitato. Avrà avuto più di 70 anni”.
Triciclo nasce all’interno della Cooperativa Ruah, che dal 1991 si occupa di accoglienza di migranti. Il suo scopo originario consisteva nel fornire possibilità lavorative alle persone accolte, nell’ambito dell’attività di sgomberi di appartamenti e del conseguente mercatino dell’usato derivante dal recupero del materiale utilizzabile.
Anche oggi è così, ma con il cambiamento della regolamentazione legislativa gli inserimenti lavorativi temporanei si sono trasformati in assunzioni vere e proprie, andando quindi a creare un organico di trenta lavoratori tra italiani e stranieri.
“Appena entrato ha cominciato a frugare ovunque, fino a quando non l’ha trovata, e a quel punto è quasi scoppiato a piangere. Ha cominciato a raccontarmi la storia di quella macchina da cucire. Quando era bambino viveva insieme a sua madre e ai suoi dieci fratelli e sorelle, il padre era morto in guerra. Di notte, mentre tutti dormivano, sua madre rimaneva alzata a cucire, per portarsi avanti con del lavoro straordinario che permetteva di portare un po’ più di pane in tavola. Si ricordava ancora il suono dell’ago meccanico che batteva sulle cuciture dei vestiti. Era felicissimo di averla ritrovata, voleva anche pagarmi, ma io ho detto no, dopotutto è roba sua, e rimaneva sua, soprattutto se è un ricordo”.
Federica Fassi, responsabile del progetto Triciclo, mi spiega che attraverso questo lavoro è possibile farsi veramente un’idea dei flussi migratori in tempo reale, per lo meno nella zona di Bergamo, perché attraverso gli anni l’avvicendarsi dei lavoratori è passato da persone provenienti dall’Ex Jugoslavia, negli anni 90, fino a spostarsi progressivamente verso l’Africa Settentrionale e Centrale. Da qualche mese invece una parte dei vestiti del mercatino viene spostata in un negozio di abbigliamento usato, aperto sempre dalla cooperativa Ruah, in via Broseta 79 a Bergamo, si chiama Rivestiti, e l’insegna del negozio recita: Non solo i gatti hanno sette vite.
“Negli sgomberi si trova di tutto – spiega Asdin, il nostro guardiano d’altri tempi – anche fossili. Un anno fa ne abbiamo portati un mucchio al Museo Archeologico di Bergamo, e ogni tanto raccogliamo ancora delle geodi scambiate per un sasso inutile da qualche cliente distratto. Vediamo se mi ricordo qualche bella storia da raccontarti. Me ne vengono in mente un paio ma sono un po’ spiacevoli, meglio lasciar perdere”. Poi si ferma un attimo a pensare, il volto gli si illumina: “Ah ecco una bella storia! Ogni tanto mi capita di ripensarci. Parla di una vecchia macchina da cucire…”.