A Piacenza, dove langue d’estate e si arrabbia d’autunno, il Po è seminascosto, benché a solo un chilometro dalle statue equestri del Mochi ferme nell’eterno galoppo in Piazza dei Cavalli.

Foto di Filippo Lezoli
Dove finisce l’Emilia c’era un ponte del 1909 con ringhiere liberty, crollato qualche anno fa. Ora ce n’è uno nuovo, dove in processione i piacentini fanno la fila durante le esondazioni per specchiarsi in acque senza riflesso. Il guardrail di oggi è grigio, ma rassicura il passante su dove si trovi grazie a una scritta stampata: “qui.” Si racconta che “qui” un ragazzo diede il primo bacio a una ragazza, tornando pochi giorni dopo per lasciare scritto “Ci siamo dati il primo bacio proprio qui”. Accadde che alcuni imprecisati risalirono al vandalo innamorato che, accompagnato dai carabinieri, dovette cancellare il messaggio. Alla sera, però, come un fiore sbocciato a primavera, si lasciava leggere ancora una parola: “qui”, seguita da un punto.

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Una deviazione in discesa conduce verso il fiume: lo vedi ed è un bel vedere. Nonché enigmatico, perché ti trovi di fronte a un bivio. Se giri a destra incroci la Canottieri Nino Bixio, dove il ristorante ti attira con un buon piatto vista Po.

Foto di Filippo Lezoli
Se poi sei munito di una bicicletta è quasi d’obbligo spingerti verso il borgo di Mortizza e magari fare sosta all’Osteria del Lago Verde (Strada Sparavera), uno di quei posti in cui il tempo ha ancora un suo ritmo lento.

Foto di Filippo Lezoli
Svoltando invece a sinistra, come facciamo noi, superi l’altra società canottieri, la Vittorino da Feltre, e pian piano la vista del fiume è sostituita da filari di alberi.

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L’argine è uguale da sempre, barriera che difende dalle acque, rinforzata dai benedettini della vicina chiesa di San Sisto, che cedettero la Madonna Sistina di Raffaello con i celebri angioletti dagli occhi all’insù per raggranellare i soldi per i lavori (la copia la si può comunque ammirare nella non lontana chiesa, una delle più belle della città). Ma il Po ne sa una più del diavolo – e dei monaci – superando l’ostacolo con i fontanazzi, sorgenti di acqua che si infiltrano nel terreno e riappaiono – oplà – al di là dell’argine.

Foto di Filippo Lezoli
Da questa striscia asfaltata, la città è una serie di guglie, ciminiere e cime urbane che sembrano solleticare le nuvole.

Foto di Filippo Lezoli
Non ho conosciuto Silvano. Però so che correva ed era sorridente. L’ho letto sul muro di una delle casette che costeggiano l’argine regolando il flusso dei canali. Meta di corridori e ciclisti, questa strada è luogo di ricordi. I miei strisciano come il belato delle pecore quando ancora qui c’erano le pecore, udito nelle domeniche con un pallone per amico, quando ci si perdeva in partitelle infinite con i cugini.

Foto di Filippo Lezoli
Dove la Trebbia si getta nel Po sorge il Santuario di Camposanto Vecchio, o degli appestati, perché ospitò i resti dei caduti durante la peste del 1630. Oggi è un piccolo gioiello ristrutturato.

Foto di Filippo Lezoli
Arrivati qui, di solito si torna indietro. Se le ombre annunciano la sera, alle porte della città vi accoglierà la trattoria La Carrozza con le scodelle di vino rosso e del buon salume.

Foto di Filippo Lezoli
In tutto questo, però, il Po lo intravedi soltanto. Eppure sai che c’è. E lui sa che ci sei. L’ho visto sbirciare di sottecchi nella mia direzione.