Se nasci a Piacenza, hai da poco imparato a camminare che già conosci tutto sui piatti tipici della tua città e sei pronto a difendere Tortelli e Pisarei e Fasò da ingerenze forestiere. Poi cresci e avverti quel bisogno così incongruo con il tuo essere piacentino ed è allora che sei pronto per il grande tradimento. Perché a volte occorre una nota diversa sul palato, che ti faccia chiudere gli occhi, trascinandoti a forza lontano dalla nebbia appiccicosa. È in quel preciso momento che esci di casa e con la bramosia del cercatore d’oro setacci la città in cerca di hamburger a Piacenza.

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Il peccato, si sa, è dietro l’angolo e se abiti in centro ti ammicca dalle vetrine del Walker Burger, una via nascosta, guarda caso, dietro l’angolo della piazza principale e che porta il nome di Illica, celebre librettista.

Foto di Filippo Lezoli
Il giogo per i buoi sulla parete detta al locale la sua anima country. I tavoli in legno e il sorriso di Roberto, il titolare, fanno il resto.

Foto di Filippo Lezoli
Il menù scritto sulla lavagna attira il mio sguardo sul Big Burger solo per «very hungry», sdoganando gli inglesismi perché qui il “Food” strizza l’occhio al “Fast”, ma è “Smart”. Da tradursi: “Fresco”.

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Si diceva, ancora pochi anni fa, che nessuno da queste parti avrebbe scambiato un panino al salame con queste “cialtronerie culinarie” arrivate da lontano. Ma ora i tempi sono cotti al punto giusto. Come la carne dello Skiathos, birreria che si sta guadagnando la fama di hamburgheria per i suoi ottimi panini che traboccano salse. Nome da isola greca, ma più vicino di quella, non è lontano dal Pubblico Passeggio dove sgranchirsi le gambe dopo l’abbuffata.

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Ai margini della città, invece, il Nessie è un pub all’inglese che, per non dare adito ad equivoci, si trova di fianco al “Canale della Fame”, così chiamato perché la sua edificazione diede da mangiare ai manovali che lo costruirono e alle loro famiglie indigenti.

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Accoglie grandi compagnie e ti sorprende facendo di te lo chef del tuo panino.

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Il mercoledì infatti il cliente diventa l’architetto del suo hamburger scegliendo gli ingredienti, anche se per me le fantasie si fermano sempre al «basta che ci sia dentro il Bacon».

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Per alleviare il tradimento alla piacentinità, il reprobo ha una possibilità: l’hamburger territoriale, grazie al quale il chilometro Zero diventa Vero. L’Hamburgheria a km Vero mi sussurra la qualità nell’arredo raffinato del locale: lampadari vintage, cucina a vista.

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La conferma è negli ingredienti dei suoi piatti a Km vero, tra i quali puoi ordinare l’hamburger di cavallo, animale che da queste parti fa rima anche con la pìcula ad caval, che scrive Aldo Buzzi in Uovo alla Kok «è un misto tra spezzatino e ragù, non adatto agli ipersensibili». Allora sì che, quando esco, posso camminare a testa alta – e pancia piena – sotto lo sguardo dei due cavalli in bronzo (ops…) che da 400 anni custodiscono la piazza.