Sessanta chitarre in feedback suonano all’unisono un LA a 432 Hz in una chiesa sconsacrata. Un batterista sudatissimo batte il tempo sul rullante con il gomito, durante l’estenuante live della sua band noise-free-jazz in una taverna sotto la funicolare di Città Alta. Una pianista giapponese crea uno spazio mistico nella zona industriale del comune di Curno. Il pubblico si addormenta in un ex monastero o nel più importante teatro d’opera di Bergamo in uno sleep-concert. Sono queste le cose che Invisible Show ha fatto succedere nella mia città. Noise, free-jazz, weird-wave, in luoghi come non li hai mai visti prima.
Tutto è partito da due, tre, forse quattro persone di cui non rivelo i nomi su esplicita richiesta di invisibilità. All’inizio si trattava di sentire dal vivo artisti per i quali nessuno avrebbe organizzato concerti, se non direttamente loro.
Si sfruttavano i dayoff dei tour europei e si cercava un posto ogni volta diverso sostanzialmente per necessità, ma questa caratteristica è diventata poi il perno di tutto il resto.
Spostarsi sempre è diventata una sfida che caratterizza il comportamento degli Invisibili: in sei anni sono arrivati a più di cinquanta eventi, e solo cinque volte sono tornati in uno spazio già usato. Nessuno di loro è un professionista dell’organizzazione di eventi.
Ogni volta che sono andato, senza essere pronto, Invisible°Show mi ha portato in cantine, fabbriche, chiese sconsacrate, taverne, luoghi complessi per sentire della musica, ma che puntualmente si sono rivelati perfetti. Dopo, veniva difficile immaginare lo stesso spettacolo altrove.
Invisible°Show inizia con una e-mail. L’e-mail parla dell’avvenimento centrale: gli artisti e quello che Invisible°Show ci ha costruito attorno. Se vuoi sapere l’orario, il luogo e tutto il resto, devi rispondere alla prima e-mail, confermando la tua presenza. In una seconda e-mail, Invisible°Show ti rivela dove avverrà questa volta, cosa troverai, quando lo troverai e persino dove ti converrà parcheggiare.
Consulto questa e-mail per impostare il navigatore e scoprire che ho un ritardo di un’ora buona dall’inizio dichiarato. Fortunatamente, il salame e il formaggio fornito al pubblico non sono finiti. C’è un banchetto nero, un’offerta e il timbro.
Questa volta il tema di Invisible°Show si riassume in una parola: “Complesso”. Stasera, in un posto magnifico di cui non posso dirvi molto, si sta svolgendo il primo di tre momenti che nei prossimi mesi proporranno “soluzioni” a questo tema. Chi ci sta dietro mi racconta che l’obbiettivo è mettere al centro uno strumento complesso, la batteria, un gruppo di musicisti (ovvero un complesso), e soprattutto l’identità di Invisible, che vorrebbe tematizzare la sua tendenza spontanea a creare situazioni perennemente non facili, da tutti i punti di vista “complesse”. Chi scioglie l’enigma, ogni volta come questa, sono gli artisti.
I risolutori di stasera si avvicendano, si mescolano e alla fine si esibiscono persino tutti insieme, spontaneamente. Sono improvvisatori, stregoni del presente, gente abituata a dare a ogni singola vibrazione sonora che emette nell’aria un valore di irripetibilità totale.
Inizia Stefano Giust, gigante della batteria in Italia: qualche rintocco e cuce la prima tessitura di quella maglia di suono che stasera finirà nelle mani di Catherine Jauniaux (dalla Francia agli Stati Uniti, maestra indiscussa dell’arte fonatoria internazionale), François Wong (jazzista francese, che incanala il fiato in ottoni e non nelle proprie corde vocali), Patrizia Oliva (punta di diamante del nostro canto improvvisato) e Andrea Begnini (il primo bergamasco ad aver suonato ad Invisible°Show, scelto su richiesta di Giust e Oliva, desiderosi di improvvisare con un artista locale).
Ancora una volta Invisible°Show si porta a casa qualcosa di irripetibile, mantenendo la promessa di “sopravvivere grazie all’instabilità”.