“Un’incredibile arma pacifica per la riqualificazione dei luoghi decadenti della città, peccato che i nostri amministratori non la vedano allo stesso modo”. Bastano queste poche parole per spiegare la forza del parkour e la sua capacità di creare un immaginario potente, in grado di ridefinire il modo stesso in cui concepiamo lo spazio urbano e guardiamo una città.
Proprio questo sguardo è al centro di “Linea Retta”, documentario di Ines von Bonhorst e Yuri Pirondi dedicato al parkour e ambientato tra Milano e Palermo. Un lavoro complesso, vista la natura di questa arte esplorativa: spettacolare, ma decisamente difficile da riprendere con una camera.
“È stata proprio una delle nostre prime domande – raccontano Ines e Yuri – Come seguire i movimenti dei traceurs? E soprattutto come tradurre in immagine la visione dei traceurs sulla città? Abbiamo filmato da diversi punti, perciò con tanto materiale abbiamo lavorato su un montaggio serrato. Importantissime sono state le immagini aeree, che fanno trasparire il tessuto urbano e come i nostri protagonisti lo studiano e attraversano”.
A livello tecnico, di riprese, qual è stata la difficoltà maggiore?
La difficoltà maggiore era stargli dietro! Ma sebbene con il fiatone ce l’abbiamo fatta.
A parte questo abbiamo filmato con tre macchine da presa, cercando sempre di muoverci attorno ai traceurs creando un movimento continuo a 360 gradi.
Quella che collega Milano a Palermo è una linea retta inusuale, vi ha permesso di guardare queste città agli antipodi con nuovi occhi?
Le due città sono molto diverse sia dal punto dell’urbanistica che da quello sociale, le relazioni tra gli abitanti. Volevamo creare un contrasto forte che potesse rendere ben visibile le diverse facce della nostra penisola. Attraverso l’Art du Deplecement e il Parkour, quindi attraverso l’esplorazione urbana abbiamo trovato angoli sconosciuti molto interessanti e soprattutto abbandonati.
Il parkour presuppone un movimento continuo, senza soste: c’è stato un angolo di città in cui invece avreste voluto fermarvi?
Si. C’era un luogo bellissimo, presente anche nel film, una sorta di stabilimento abbandonato sul mare, poco fuori Palermo. Abbiamo girato il film in ottobre e c’era ancora molto caldo, il mare ci chiamava a sé come fa un incantatore di serpenti, eravamo pronti a spogliarci e tuffarci, ma non ce n’è stato il tempo.
Come reagivano gli abitanti alle evoluzioni?
A Milano quasi non ci facevano caso o addirittura le ignoravano, un po’ infastiditi. Invece a Palermo, i passanti lo vedevano un po come intrattenimento, c’è chi si fermava, chi chiedeva informazioni e c’è chi si è seduto vicino ai ragazzi per ore. Al contrario di Milano nel capoluogo siciliano le persone sono abituate a fermarsi e parlare, come filmmakers noi siamo molto interessati a conoscere la vita delle persone e Palermo è densissima di storie, nel bene e nel male.